In attesa del vertice di maggioranza con il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri convocato per venerdì, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità finisce anche nel mirino della lobby delle banche. Il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, a margine di un incontro con la stampa a Bruxelles, ha avvertito infatti che se cambieranno le condizioni di sottoscrizione dei titoli di Stato, ad esempio con l’introduzione di clausole di azione collettiva a maggioranza unica e non doppia come oggi, “non li compreremo più”. Intanto le opposizioni tornano all’attacco perché Conte riferirà in Parlamento solo il 10 dicembre. E Gualtieri in una nota precisa che “è bene chiarire come la riforma del MES non introduca in nessun modo la necessità di ristrutturare preventivamente il debito per accedere al sostegno finanziario”. “A proposito della riforma si è ingenerata nel dibattito italiano molta confusione“, secondo il ministro. Che precisa: “L’Italia non ha avuto, non ha e non avrà bisogno dei prestiti Mes: il debito italiano è sostenibile, ha una dinamica sotto controllo anche grazie alla politica fiscale prudente e a sostegno della crescita che il paese porta avanti”.
Gualtieri: “Ristrutturazione del debito non diventa condizione per avere aiuti” – Per Gualtieri “l’esistenza del Mes è un potente elemento di stabilizzazione dei mercati finanziari e una difesa contro possibili crisi e deve pertanto essere considerato come un nostro alleato, non come un nemico, anche perché l’Italia è tra i suoi principali azionisti e ha un forte peso nella sua governance”. L’innovazione fondamentale che è stata introdotta, dice il ministro, “riguarda la possibilità che il Mes svolga la funzione di backstop fiscale, cioè di supporto, per il Fondo di Risoluzione Unico. È un’innovazione positiva, che da tempo come Italia avevamo richiesto, e che costituisce un nuovo tassello verso il completamento dell’Unione bancaria”. “Effettivamente, all’inizio del negoziato alcuni paesi avevano chiesto che la ristrutturazione del debito divenisse una condizione per l’accesso all’assistenza finanziaria ma, anche grazie alla ferma posizione assunta dall’Italia, queste posizioni sono state respinte e le regole sono rimaste identiche a quelle già in vigore. La valutazione sulla sostenibilità del debito è infatti sempre esistita sin dalla creazione del Mes e non implica una ristrutturazione automatica del debito. Non ci sono in tal senso cambiamenti sostanziali. Il dibattito di questi giorni su questo argomento è senza senso”. “Quanto all’introduzione delle clausole cosiddette Single-limb per il debito emesso dopo il 2022 si tratta di un cambiamento noto da tempo e che non avrà alcun impatto sul debito pubblico dei paesi dell’eurozona, e che anzi impedisce comportamenti opportunistici e ricattatori da parte di fondi speculativi”.
Abi: “Se cambiano le condizioni compreremo meno debito pubblico” – Le banche, però, mettono le mani avanti. “Non abbiamo un vincolo di portafoglio di comprare X: abbiamo circa 400 miliardi di debito pubblico italiano in questa fase”, ha ricordato Patuelli, che avrebbe dovuto lasciare la guida dell’Abi a fine anno ma invece resterà fino al 2022 grazie alle modifiche allo Statuto decise nei giorni scorsi. “Se le condizioni relative al debito pubblico si alterano o per maggiori assorbimenti o per interventi che favoriscano sinistri, è chiaro che le banche italiane sottoscriveranno meno debito pubblico. E non saranno mica solo le banche: su 2.350 miliardi di debito pubblico italiano, la gran parte oggi è assolutamente sottoscritta da soggetti nazionali. Io non mi intrometto nelle polemiche interne”. Le “condizioni” che più preoccupano Patuelli solo le clausole cosiddette “single-limb“, che la riforma prevede siano introdotte nei contratti di vendita dei bond dal 2022 e che renderebbero più facile la ristrutturazione del debito. Rendendo meno probabile la formazione di minoranze di blocco che impediscano di cambiare le condizioni contrattuali, tra cui quelle sui rimborsi.
Marcia indietro di Bankitalia. Giacché: “Riforma innescherebbe nuova crisi del debito” – Intanto Bankitalia fa una mezza marcia indietro rispetto all’allarme lanciato in audizione dal governatore Ignazio Visco: fonti di via Nazionale spiegano che la riforma “non prevede né annuncia un meccanismo di ristrutturazione dei debiti sovrani” e “la verifica della sostenibilità del debito prima della concessione degli aiuti è già prevista dal Trattato vigente”. Il governatore Visco – si spiega ancora – non ha espresso un giudizio sfavorevole sulla riforma del Mes. Ha invece messo in guardia sui rischi inerenti all’assunzione di eventuali ulteriori iniziative future relative all’operatività del Mes in assenza di una riforma complessiva della governance economica dell’area dell’euro. Ben più tranchant è stato in compenso il presidente del Centro Europa ricerche (Cer), Vladimiro Giacché, che in audizione in commissioni riunite Bilancio e Politiche Ue ha sostenuto: “Per l’Italia è prioritaria l’esigenza di ritornare su un sentiero di rientro del debito pubblico ma deve essere chiaro che la riforma del Mes non è un meccanismo facilitatore in tal senso. Al contrario, così come sono stati predisposti, gli strumenti di assistenza finanziaria sembrano perfetti per innescare una nuova crisi del debito, perseverando in tal modo nei gravi errori del 2011-12″.
Come funzionano le nuove clausole previste dalla riforma – Le Single-Limb Cacs, uno degli elementi portanti della riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità, sono clausole di azione collettiva annesse ai titoli di Stato che rendono, in teoria, un po’ più facile la ristrutturazione di un debito, perché riducono il rischio di holdout, cioè della formazione di minoranze di blocco, prevedendo un’unica maggioranza su tutte le serie emesse di titoli di Stato. Attualmente, dal 2013, sono inserite nei titoli di Stato le Dual-Limb Cacs, cioè clausole di azione collettiva a doppia maggioranza, che prevedono, per concordare una ristrutturazione, una maggioranza a livello di ogni singola serie di titoli emessi e un’altra per tutte le serie insieme. Le Cac, che esistono dal 2013 nella forma Dual-Limb, sono uno dei motivi principali per cui il ‘rischio di ridenominazione‘, come viene definito in gergo finanziario il passaggio dall’euro alla lira, decresce a mano a mano che passa il tempo, secondo quanto spiegava un report di Mediobanca del gennaio 2017 firmato da Antonio Guglielmi, Javier Suarez e Carlo Signani, con il contributo di Marcello Minenna.
Quel report spiegava che il rischio di Italexit va diminuendo con il passare del tempo e che i costi, all’inizio del 2017, erano già talmente alti da rendere sconsigliabili avventure simili. “Il tempo costa all’Italia a causa delle Cac e pertanto, in termini puramente finanziari, riduce il rischio di Italexit e rende qualsiasi riprofilazione volontaria del debito un’opzione migliore per sostenere il proprio debito”, scrivevano nel 2017 gli esperti di Mediobanca.