C’è un immenso velo di ipocrisia, che qualcuno chiama tattica politica, giocato sulla pelle di chi chiede ospitalità e di chi la dà. Il business dell’immigrazione verso l’Europa trova in Grecia una nuova frontiera fatta da ingenti somme di denaro e spregiudicatezza di chi sfrutta l’inconsistenza della politica. Nelle isole greche di prima accoglienza la situazione si è fatta talmente insostenibile che il governo di Atene, in solitudine, ha dovuto rimboccarsi le maniche e decidere per un piano straordinario di redistribuzione. La sola Lesbos a fronte di una capienza di 3mila persone, ne conteneva nel campo di Moria più del triplo e in condizioni disumane.

Per cui l’obiettivo di Atene è a questo punto di ridisegnare il fronte di arrivi e gestione di immigrati e richiedenti asilo con sei nuovi centri nell’entroterra, tramite l’impiego di 800 addetti alla sicurezza per proteggere i confini delle isole e i centri, e soprattutto di 400 militari da posizionare sulla frontiera di burro Evros. Ma il piano del governo di Atene per sgravare le isole se da un lato porta più organizzazione e logistica, a fronte di una contingenza emergenziale che ha dato la linea nell’ultimo triennio, dall’altro certifica l’assenza dell’Ue dinanzi ai continui ricatti della Turchia.

Quando la guardia costiera ellenica ha più volte in passato contattato la guardia costiera turca, segnalando la presenza di una barca con immigrati proveniente dalla costa turca, non ha avuto riscontri: e rafforzando così la tesi di chi ritiene che oltre al “ricatto di Erdogan“, che chiede altri miliardi all’Europa dopo i sei ottenuti nell’accordo di tre anni fa, c’è da fare i conti con il grande business degli scafisti, con le nuove rotte dei traffici di stupefacenti, compresa la pillola della jihad, di cui ingenti quantitativi sono stati sequestrati proprio in Grecia in collaborazione con l’agenzia americana Dea.

In sostanza la Grecia sul dossier immigrazione rischia di trovarsi invischiata in un vicolo cieco (tra Ankara e Bruxelles), dove gli altri players non solo non decidono in un verso, ma acuiscono le discrepanze dall’altro. L’intera questione, ed è questo il vero punto di forza di chi specula sulle vite umane, è legata a doppia mandata alla sicurezza, al dossier energetico e alla geopolitica nel Mediterraneo orientale e settentrionale.

La contemporanea presenza dei servizi turchi, bulgari, russi e occidentali nei pressi della frontiera ellenoturca di Evros lo dimostra ampiamente: lì si mescolano torbidamente le storie di chi attraversa il fiume per “passare” in Europa, di chi commercia droga e jihadisti, di chi favorisce il transito di mercenari e osservatori che puntano a vigilare sui nuovi gasdotti e sull’evoluzione di traffici e influenze.

Nel mezzo la Grecia che, nonostante i dati sulla ripresa economica e sui titoli di Stato (che hanno meno rischi di quelli italiani, tanto per avere un’idea delle prospettive italiane al confronto), è impegnata in una delicatissima fase di ricostruzione anche sociale dei propri tessuti.

Ragion per cui sarebbe auspicabile che, in attesa della composizione “ufficiale” della nuova Commissione europea attesa da un voto decisivo il prossimo 27 novembre, anche l’Italia adotti policies più coinvolgenti nei confronti di Atene e abbia un piglio deciso sul dossier immigrazione, magari intrecciando informazioni e facendosi vero partner. Visto che la partita in Libia non la siamo giocando affatto, almeno che in Grecia si inverta la rotta.

twitter@FDepalo

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