Alle 9 del mattino una voce con accento calabrese avverte: al palazzo di giustizia del capoluogo emiliano c'è un ordigno che esploderà alle 11. Allo stesso orario in cui è previsto l’inizio di una conferenza stampa dei carabinieri del Reparto Operativo di Modena e del Raggruppamento Speciale di Bologna. Oggetto: i sequestri di beni ai fratelli Muto. Un inquirente al fatto.it;: "Sospettiamo che la chiamata sull'allarme bomba sia stata un atto diversivo per sviare l’attenzione dai sequestri"
Alle 9 di mattina una voce anonima al telefono, con un forte accento calabrese, informa che alle 11 precise una bomba scoppierà nel Tribunale di Reggio Emilia. Alla stessa ora, le 11 di mattina, è previsto l’inizio di una conferenza stampa dei carabinieri del Reparto Operativo di Modena e del Raggruppamento Speciale di Bologna per illustrare gli ultimi sviluppi dell’operazione Grimilde, nell’ambito del contrasto alle mafie in Emilia Romagna. C’è qualche collegamento tra i due episodi? Lo pensano sia la procura che i carabinieri. “Una curiosa coincidenza. Piuttosto sospettiamo che la chiamata sull’allarme bomba sia stata un atto diversivo per sviare l’attenzione dai sequestri”, racconta un investigatore al fattoquotidiano.it.
La fonte si riferisce ai nuovi sequestri patrimoniali per oltre 9 milioni di euro compiuti ieri, sotto il coordinamento del procuratore antimafia Beatrice Ronchi, che colpiscono due fratelli Muto (Antonio e Cesare), appartenenti ad una delle famiglie più note della ‘ndrangheta di origine crotonese e maggiormente colpite dalle sentenze del processo Aemilia. Il timore di una bomba a Reggio, può aver pensato l’autore della telefonata anonima, toglierà attenzione dalla conferenza stampa di Modena.
La bomba in realtà non c’era ma la telefonata ha comportato l’attivazione delle procedure di sicurezza e la immediata evacuazione del Tribunale. Sono arrivati i reparti specializzati con artificieri, robot e cani addestrati, che hanno passato al setaccio l’intero palazzo, compresa l’aula bunker dove per tre anni si sono svolte le udienze di Aemilia, il più grande processo alla ‘ndrangheta della storia italiana. Quell’aula la conoscono bene gli otto membri della famiglia Muto indagati dai procuratori Marco Mescolini e Beatrice Ronchi e tutti condannati dai giudici di primo grado o dalla sentenza di Cassazione del rito abbreviato. Quattro di loro si chiamano Antonio e per distinguerli in aula si utilizzava l’anno di nascita. Antonio Muto ’71, condannato a Reggio Emilia a 20 anni e 6 mesi complessivi per appartenenza ad associazione mafiosa ed altri reati, è uno dei due membri della famiglia ai quali sono stati ieri sequestrati i beni dai Carabinieri. L’altro è il fratello Cesare, indagato nell’operazione Grimilde. Un’inchiesta che nel 2019 ha prodotto 76 richieste di rinvio a giudizio per le attività mafiose portate avanti anche dopo gli arresti di Aemilia nel 2015 da uomini e donne collegati alle cosche Grande Aracri/Sarcone.
I sequestri effettuati sono stati illustrati dal comandante del reparto operativo di Modena colonnello Stefano Nencioni e dal maggiore Luca Latino del Ros di Bologna. Si tratta di cinque aziende operanti nel settore degli autotrasporti e nell’immobiliare, con un fatturato relativo al 2017 di circa 3,5 milioni di euro e un patrimonio netto complessivo di oltre un milione. Poi 12 immobili e terreni per un valore di 3 milioni di euro; 92 veicoli e 9 conti correnti bancari. Ma le attività dei Muto, che risiedono nel comune di Gualtieri in provincia di Reggio Emilia, a poca distanza da Brescello, cuore operativo dell’operazione Grimilde, spaziano secondo i carabinieri su tutto il territorio nazionale, attraverso aziende gestite in maniera occulta con opportuni prestanome. Che non sono più mogli, figli o parenti, come avveniva un tempo, ma persone terze e spesso insospettabili. Uno di loro secondo gli investigatori è l’ingegner Nicola Salvatore Paganelli, residente a Parma, titolare dell’azienda di trasporti Cospar, costituita con i finanziamenti giunti dai Muto attraverso opportune società cartiere dopo l’interdittiva del prefetto di Reggio Antonella de Miro che aveva colpito le attività di famiglia nel 2013.
L’indagine, dicono ancora oggi i carabinieri di Modena, ha consentito di ricostruire i profondi legami esistenti tra i due fratelli Muto e personaggi di spicco del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano come Giuseppe Giglio, la mente economica della cosca diventato collaboratore di giustizia a processo in corso, e i fratelli Vertinelli, uomini di successo della pedecollina inseriti nella crème dell’imprenditoria reggiana.
Il 2020 si aprirà con il processo di appello di Aemilia presso il carcere della Dozza di Bologna e con il primo grado di Grimilde che vedrà alla sbarra anche l’ex Presidente del consiglio comunale di Piacenza Giuseppe Caruso. L’esponente di Fratelli d’Italia è considerato dalla Dda organico al gruppo mafioso guidato da Francesco e Salvatore Grande Aracri, che operava con base a Brescello. Metteva a loro disposizione le sue competenze di funzionario della Agenzia delle Dogane per affari milionari che coinvolgevano importanti imprese nel nord Italia. In attesa della apertura dei processi arrivano i sequestri e le telefonate anonime che preannunciano in anticipo sul Natale i fuochi d’artificio in Tribunale. Ma con le bombe non si scherza e l’attenzione, come la tensione, resta altissima.