“I 400 milioni nel decreto fiscale ci sono. Ma mi domando: vista la situazione, il governo li darà agli stessi commissari? E cioè a quelli che hanno utilizzato il denaro prestato dallo Stato per inderogabili esigenze di sopravvivenza della compagnia come nuove divise, promozioni ai dirigenti e un ufficio comunicazione ad hoc di cui non si trova precedente nella storia delle amministrazioni straordinarie?.” Per Ugo Arrigo, professore di finanza pubblica all’università Bicocca, la situazione di Alitalia ha assunto ormai una dimensione surreale. Con il dietrofront di Atlantia è sfumato il salvataggio guidato dalle Fs che avrebbero dovuto presentare una cordata assieme al gruppo dei Benetton, al Tesoro e a un partner industriale come Delta o Lufthansa.

A questo punto sono tre soluzioni: la prima è prendere ancora tempo perché Fs e Atlantia possano arrivare a un accordo. La seconda è portare i libri in tribunale. La terza nazionalizzare l’ex compagnia di bandiera. Indipendentemente da come il governo si muoverà, non si potrà trascurare il fatto che la Procura di Civitavecchia da tempo indaga sul crac Alitalia. E che di recente i magistrati hanno inviato la Guardia di finanza al ministero dello Sviluppo per acquisire documentazione sulle nomine dei commissari (Enrico Laghi, Stefano Paleari, Daniele Discepolo, Luigi Gubitosi, dimessosi nel novembre 2018) con l’obiettivo di verificare se esistono cause di incompatibilità o di conflitto d’interessi.

Per Arrigo allungare ulteriormente la vita di Alitalia senza alternative non avrebbe senso, ma anche far fallire la società, dopo averle recentemente prestato 900 milioni di soldi pubblici, sarebbe anche peggio. “Lo scenario è molto confuso, ma portare i libri in tribunale sarebbe senza dubbio la soluzione peggiore per le casse pubbliche – spiega Arrigo – Una simile procedura serve infatti normalmente a liquidare gli attivi per tentare di soddisfare i creditori della società in dissesto, ma in questo caso è lo Stato ad essere il maggior creditore della compagnia. E quindi tanto vale che ne diventi direttamente il proprietario. Inoltre il valore di Alitalia sono gli slot, i passeggeri, il traffico aereo, cose che andrebbero inevitabilmente persi facendo restare gli aerei a terra. Per questo ritengo che la migliore soluzione sia la creazione di una nuova società, interamente pubblica, in cui far confluire gli asset Alitalia continuando a far vivere la compagnia per risanarla e solo successivamente venderla”.

La soluzione ipotizzata da Arrigo è del resto già oggi all’esame del Parlamento in un emendamento presentato dai parlamentari Leu, Stefano Fassina e Luca Pastorino. “Al fine di consentire il trasferimento dei rami d’azienda operativi, senza cessazione o discontinuità delle operazioni di voto, Alitalia in amministrazione straordinaria è autorizzata a costituire un nuovo veicolo societario al quale trasferire, dopo aver conseguito le necessarie autorizzazioni e licenze aeronautiche e secondo le indicazioni del ministero vigilante sulla procedura, la proprietà dei compendi aziendali”, si legge nell’emendamento che inserisce quattro commi all’articolo 54 del decreto fiscale. E poi aggiunge che “nel caso di disponibilità di cassa insufficienti, i prestiti sono restituiti in natura, trasferendo allo Stato la proprietà del nuovo veicolo societario (…) sino alla concorrenza del valore dei prestiti e degli interessi maturati”. Per Leu si aprirebbe così la strada ad “una gestione pubblica per un periodo transitorio compreso fra i 18 e i 24 mesi” con l’obiettivo di creare le condizioni per il rilancio aziendale. “Ma è chiaro che i commissari non potrebbero essere gli stessi che hanno utilizzato male il denaro e il tempo concessi dallo Stato”, conclude Arrigo.

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