Il cambiamento climatico fa danni alla salute. E lo fa anche in modo inaspettato, ad esempio provocando un aumento delle malattie infettive, come il vibrio (colera) o la febbre Dengue. Questo non solo nei paesi non occidentali, ma anche in Italia, dove la capacità delle zanzare di farsi vettori di questo virus è raddoppiata rispetto al 1980. È uno dei dati contenuti nel rapporto “The Lancet Countdown 2019: Tracking Progress on Health and Climate Change”, pubblicato sull’omonima, autorevole, rivista di scienze mediche e redatto da 120 esperti – climatologici, matematici, ingegneri, esperti di cibo, energia e trasporti, medici – di 35 istituzioni accademiche internazionali e agenzie delle Nazioni Unite di tutti i continenti. Il rapporto, che utilizza 41 indicatori, è finalizzato a fornire strumenti a legislatori e decisori politici, perché agiscano nel modo più appropriato. “Un bambino nato oggi vivrà in un mondo di quattro gradi più caldo rispetto all’epoca preindustriale”, si legge nelle pagine iniziali, “e il cambiamento climatico avrà conseguenze in tutte le fasi della sua vita, infanzia, adolescenza, età adulta e anziana”.

Gli impatti fisici e psichici degli eventi estremi

Gli eventi estremi – ondate di calore, siccità prolungata, inondazioni – mettono a rischio diretto le fasce di popolazioni più deboli, come gli anziani che vivono in aree urbane, vulnerabili a ictus e problemi renali, perché più affetti da malattie croniche. Nel 2018, la popolazione anziana più fragile ha registrato 220 milioni di esposizione alle ondate di calore, superando il record dei 209 milioni del 2015. Rispetto alle ondate di calore, il rapporto sostiene che se da un lato l’aria condizionata è altamente protettiva verso la mortalità da ondata di calore, dall’altro richiede una quantità di energia che contribuisce all’aumento di emissioni, oltre ad aumentare le temperature esterne notturne di più di un grado.

Oltre al caldo, gli incendi: nel 77% dei paesi del mondo si è registrato un incremento della percentuale della popolazione esposta a incendi, in particolare India e Cina con 21 milioni e 17 milioni di persone esposte. Le alluvioni, invece, sono particolarmente problematiche per la salute, sia per ferite e morte diretta, sia per la diffusione di malattie portate dall’acqua (il rapporto ricorda, tra l’altro, che nei paesi poveri quasi tutte le perdite economiche dovute a eventi estremi sono prive di assicurazione). Da non sottovalutare, in relazione agli eventi estremi, il problema della salute mentale, che può essere minacciata da ondate di calore, perdita della propria casa, perdita del lavoro a causa di alluvioni, migrazione forzata.

Sicurezza alimentare e malnutrizione

Uno degli aspetti messi in luce dal rapporto è la questione della sicurezza alimentare, danneggiata dai cambiamenti climatici e dai loro effetti sui prezzi degli alimenti, dovuti al calo della resa dei raccolti e con effetti pesanti soprattutto sui bambini, i più esposti agli effetti della malnutrizione. Anche se la produzione di cibo è aumentata nei paesi a basso reddito, purtroppo dal 2014 il numero delle persone malnutrite ha ricominciato ad aumentare. Il problema del calo della produzione e di pericoli di malnutrizione coinvolge però anche il nostro paese: “Guardando alla produzione agricola italiana”, spiega Marina Romanello dell’University College di Londra, intervenuta mercoledì 20 novembre al convegno, organizzato dalla Fondazione CMCC (Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) e dall’Università Ca’ Foscari Venezia per presentare il rapporto Lancet, “il potenziale di resa di tutte le colture alimentari di base che stiamo monitorando si è ridotto dagli anni ’60: per il mais la riduzione è stata del 10,2%, per il grano invernale e primaverile rispettivamente del 5 e del 6%, per la soia del 7% e per il riso del 5%”. Incidono negativamente sulla produzione agenti patogeni, scarsità di acqua, aumento delle condizioni climatiche estreme che minacciano i raccolti.

Se la produttività va a picco

L’altro problema legato all’aumento delle temperature è un calo nella produttività del lavoro. “In Europa risentirà dei cambiamenti climatici, con un calo nell’ordine dell’11,2% nel settore agricolo e dell’8,3% in quello industriale entro il 2080. E gli impatti sull’Italia sono anche maggiori, con una riduzione rispettivamente del 13,3% e dell’11,5%”, ha spiegato Shouro Dasgupta, ricercatore presso CMCC@Ca’Foscari. Nel 2017, l’esposizione alle alte temperature ha comportato anche più di 1,7 milioni di ore di lavoro perse in Italia, il 67% delle quali hanno riguardato il settore agricolo. “È importante sottolineare che i cambiamenti climatici, oltre a danneggiare l’economia italiana con un calo del Pil dell’8,5% al 2080, aumenteranno anche le disparità di reddito interne al paese, aggravando il divario Nord-Sud: tutto ciò avrà implicazioni significative per la salute”, ha sottolineato sempre Dasgupta durante l’incontro.

Non poteva mancare infine nel rapporto il tema della qualità dell’aria e dei decessi legati alle polveri sottili. “Utilizzare le fonti fossili per la produzione di energia significa non solo aggravare il problema del riscaldamento globale, ma anche peggiorare la qualità dell’aria e su questo l’Italia detiene un triste primato, con 45.600 decessi prematuri a seguito dell’esposizione a PM2.5 solo nel 2016”, ha affermato Romanello. Si tratta del valore più alto in Europa e dell’undicesimo più alto nel mondo, che si traduce in una perdita economica di 20,2 miliardi di euro.

La salute al centro della transizione

Gli esperti del rapporto sono concordi: le tendenze positive non mancano, come la riduzione di investimenti nel carbone, l’impennata delle energie rinnovabili, la riduzione dell’inquinamento dell’aria in Europa. Inoltre, il 50% dei paesi e il 69% delle città ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, mentre aumentano gli investimenti per adattare i sistemi sanitari, migliorare i trasporti. E cresce anche il coinvolgimento dell’opinione pubblica. Tuttavia le emissioni continuano ad aumentare e dunque il mix energetico dovrà cambiare drasticamente a livello globale, mentre saranno sempre più necessari interventi di adattamento ai cambiamenti climatici, in particolare dei sistemi sanitari. Più in particolare, il rapporto indica la necessità che l’Europa arrivi ad una qualità dell’aria in linea con quanto previsto dalla World Health Organization, che si raggiunga nel 2030 il target del 32% di energie rinnovabili, eliminando gradualmente quelle fossili, che si promuova una mobilità accessibile per tutti, che aumentino gli investimenti sul controllo dei vettori di malattie infettive. “Mettere la salute al centro di questa transizione produrrà enormi dividendi per il settore pubblico e per l’economia, offrendo allo stesso tempo aria più pulita, città più sicure e diete più sane. I vantaggi economici legati ai benefici per la salute derivanti dall’applicazione dell’Accordo di Parigi superano i costi di qualsiasi intervento, con un risparmio di migliaia di miliardi di dollari nel mondo”, sottolinea Romanello. Secondo Stefano Campostrini, Professore di statistica sociale per le politiche sociali e sanitarie all’Università Ca’ Foscari Venezia e Direttore del Governance & Social Innovation Center, “il paese Italia, se per molti versi ha un sistema sanitario resiliente, non è ancora del tutto pronto agli impatti che i cambiamenti climatici potrebbero avere sulla salute della popolazione. Inquinamento dell’aria, migrazioni, sostenibilità del sistema sanitario sono solo alcuni dei grandi ambiti nei quali le sfide sono più pressanti”.

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