Un colpo solo dentro la vettura che avrebbe dovuto portarla all’aeroporto di Mogadiscio. E’ morta così ieri Almaas Elman, nota attivista somalo-canadese. Secondo Zakia Hussein, ufficiale di polizia somalo (citato dal New York Times), la giovane è stata colpita da una pallottola mentre si trovava in auto dentro Halane, enorme complesso altamente fortificato che sorge accanto all’aeroporto internazionale di Mogadiscio dentro cui si trovano le truppe dell’Unione Africana (attive in Somalia nella missione AMISOM) e varie rappresentanze diplomatiche.

Said Fadhaye, fotografo freelance, ha raccontato sui social che si trovava a bordo della stessa auto con Almaas: raccontando straziato che la donna è morta accasciandosi su di lui, ha parlato di un “attacco”. Il governo somalo ha condannato l’accaduto e chiesto indagini accurate. Ma si è levata anche la voce dell’ex presidente Hassan Sheikh Mahamuud che domanda di fare chiarezza su un episodio che chiaro non è affatto. Che la giovane donna sia stata uccisa dentro un complesso fortificato come Halane lascia più di un interrogativo.

Una morte che insanguina una volta di più la stessa famiglia: il padre di Almaas, Elman Ali Ahmed, era a sua volta un attivista per la pace molto conosciuto. Morì assassinato nel 1996. La madre decise di trasferirsi in Canada all’inizio degli anni ‘90, per far crescere le tre figlie in un ambiente sicuro. Almaas e le sorelle, però, a partire dal 2010 decisero di tornare in Somalia per contribuire alla ricostruzione del paese. Anche loro, come decine di altri somali della diaspora, stavano tentando di riappropriarsi del paese e di collaborare alla sua ricostruzione.

Nel 1990, la famiglia Elman fondò un centro per la pace, l’Elman Peace and Human Rights Centre, ora guidato dalla madre, Fartuun Adan, e dalla sorella minore Ilwad. Quest’ultima aveva ricevuto proprio quest’anno la nomination per concorrere all’assegnazione del Nobel per la pace. Almaas e la sua famiglia lavorano in particolare sulla giustizia sociale, sui diritti delle donne e sulla riabilitazione dei bambini colpiti dalle conseguenze della guerra civile. Almaas aveva lavorato anche all’ambasciata somala in Kenya e di recente era diventata consulente per la delegazione dell’Unione Europea in Somalia. Nel 2017 aveva sposato un imprenditore somalo-svedese, Zakaria Hersi. E, stando ad alcune fonti non confermate, era probabilmente incinta.

Laetitia Bader, ricercatrice per l’Africa di Human Rights Watch, descrive Almaas come “un’impegnata e instancabile avvocata delle invisibili sopravvissute alle violenze sessuali in Somalia”. “La sua morte – aggiunge – ci ricorda ancora una volta i pericoli reali che affrontano i civili a Mogadiscio. Il governo deve investigare sull’omicidio di Almaas, arrestare i colpevoli e lavorare per proteggere tutti i cittadini”.

Lo scorso luglio era stata uccisa un’altra somala con cittadinanza canadese, la giornalista Hodan Nalayeh, vittima con il marito di un attacco terroristico contro un hotel da parte degli shebaab a Kismayo, città del sud della Somalia. La stessa regione al confine con il Kenya dove si pensa potrebbe essere Silvia Romano.

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