Dici plastic tax e tutti si strappano i capelli. Dici sugar tax e ti tirano merendine contro.
Il consumismo usa e getta ci ha drogati a tal punto che sembra impossibile tornare indietro. Come bambini viziati, siamo furibondi quando il limite arriva. Triste sentire politici di destra e sinistra galoppare questa lagna collettiva. Dopo la macchina, ecco un’altra copertina di Linus. La nostra inseparabile bottiglietta di plastica, il nostro inseparabile pacco di bicchieri usa e getta pronto all’evenienza. Le aziende della filiera della plastica si lamentano e tutti a consolarle: ma perché?
Se un settore è inquinante va penalizzato, chi inquina paga (con le dovute tutele agli operai che non hanno colpa e vanno formati per nuovi lavori). Il profitto, gli utili, vanno investiti nella ricerca, nella transizione. Non si può pensare di restare a lucrare sul petrolio in tempo di crisi ambientale e climatica.
La plastica costa fin troppo poco, perché il petrolio costa fin troppo poco. Lo stesso Fondo Monetario Internazionale afferma che “i prezzi dell’energia in molti Paesi sono sbagliati perché sono fissati a livelli che non riflettono il danno ambientale. Si stima che i costi associati a questi fenomeni siano pari a circa 10 dollari per litro (di petrolio)” (Fmi, Getting Energy Prices Right: From Principle to Practice, Parry, Heine, Lis, Li, 2014).
Tutto ciò che deriva dal petrolio (plastica, benzina, diesel) ha quindi un costo falsato: dovrebbe costare 30 volte tanto. Hai voglia con le plastic tax, con le carbon tax! Non ci rendiamo conto che stiamo difendendo un privilegio immeritato, non etico, non equo. Così, di fatto, invece di tassare il petrolio, si continua a incentivarlo: sono circa 18,8 miliardi di euro i sussidi diretti e indiretti in Italia, al consumo o alla produzione di idrocarburi.
Tanti obiettano: “Ma perché ridurre? Non basta riciclare?”. No, perché non tutta la plastica viene riciclata, buona parte (circa la metà) viene bruciata negli inceneritori. Infine, la plastica effettivamente riciclata (pile, oppure arredamenti urbani), a fine vita non è più riciclabile. Quindi la plastica si ricicla solo una volta e prima o poi finisce tutta in discarica, nell’ambiente o nell’inceneritore. Alcuni iniziano a pensare di cambiare la plastica monouso con altri materiali monouso, come l’alluminio, o il biodegradabile (che però in grandi quantità tende a creare un problema alle aziende di compostaggio).
No, dobbiamo renderci conto che la follia è il monouso. A meno che non sia indispensabile – negli ospedali – in altri ambiti è assurdo: in Italia si producono 11,3 milioni di tonnellate di imballaggi all’anno. Petrolio, alberi, bauxite, acqua e aria contaminati, tonnellate di CO2 dispersi. Estratti, lavorati, prodotti per essere buttati.
Si può fare tanto dal basso, come fanno le famiglie “rifiuti zero”, rete estesa in tutta Italia. Anche io e la mia famiglia da anni sperimentiamo questo stile di vita, e ormai è abitudine. Facciamo circa 1 kg di rifiuti indifferenziati procapite l’anno e 1 kg di plastica l’anno. Come?
1. Autoproduciamo quello che possiamo: marmellata, pane, biscotti, dentifricio, detersivi (ottimo metodo anche per risparmiare!).
2. Compriamo quasi tutto sfuso, nei piccoli negozi oppure tramite Gas (Gruppi di acquisto solidali): cereali, legumi, pasta e farina locali, zucchero e cacao del commercio equo, e tanto altro che ci arriva direttamente dal produttore in sacchi grandi (5, 10 o 25 kg) che poi smistiamo tra famiglie con bilancia e paletta. I sacchi li riusiamo o li restituiamo al produttore.
3. Compriamo frutta e verdura biologica locale e di stagione al mercato dell’ortofrutta o da produttori locali, riusando sporte e cassette per la frutta.
4. Facciamo vuoto a rendere, laddove possibile (ma non sempre lo permettono).
5. Per i picnic o per le feste di compleanno usiamo fazzoletti, piatti, bicchieri, posate in materiale riutilizzabile: per condividere questa bella pratica, insieme al centro sociale del quartiere, abbiamo creato una “stoviglioteca” (kit di 50 bicchieri e piatti colorati, lavabili) da prestare alle famiglie che lo richiedono.
6. Beviamo acqua di rubinetto, sia in casa, sia fuori, portandoci borracce.
7. Usiamo pannolini lavabili per i bambini e insieme al centro per le famiglie abbiamo creato la “pannolinoteca comunale”. Per noi donne, invece, ci sono gli assorbenti lavabili e/o le coppette mestruali, comode, ecologiche ed economiche.
Ma per riportare davvero una cultura plastic free bisogna rendere più semplice, a livello legale, il riuso dei contenitori e delle sporte (ora c’è un ginepraio di divieti e vuoti normativi): bisogna permettere alla gente di portare il proprio contenitore in gastronomia o dal gelataio, ripartire col vuoto a rendere su larga scala, come avviene all’estero, sui vari prodotti, dal latte alla birra al miele. Dobbiamo fare in modo che diventi la norma, la maggioranza, sia con imposizioni sia con incentivi. Occorre supportare e aiutare i negozi sfusi e alla spina, i gruppi di acquisto locali, i mercatini rionali.
Il tempo stringe e il cambiamento si impone. Arriverà come un’ondata infuriata, a spazzar via tutto, o come un fiume navigabile? Questo sta alla nostra lungimiranza. Quello che non faremo ora, quello che non pagheremo ora, lo pagheranno tra non molto i nostri figli.