A queste indagini collaborerà anche l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Gli avvocati, nel ricorso presentato contro il gruppo, sottolineavano che le operazioni di spegnimento (che poi sono state fermate) avrebbero potuto essere molto pericolose su più fronti
Nel giorno del faccia a faccia tra il premier Giuseppe Conte e la famiglia Mittal, i carabinieri entrano nello stabilimento Ilva di Taranto. Dopo gli uomini della Guardia di finanza, nell’acciaieria hanno fatto ingresso i carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce, del Nucleo sulla sicurezza sul lavoro e del Comando provinciale guidato da Luca Steffensen nell’ambito delle indagini avviate dalla procura jonica dopo l’esposto dei commissari straordinari. Le verifiche riguardano le operazioni di bonifica nel siderurgico, la situazione generale della fabbrica, le attività di manutenzione finora eseguite e la sicurezza sul lavoro. A queste indagini collaborerà anche l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Due giorni fa si era svolto un vertice in procura tra investigatori dell’Arma e il capo Carlo Capristo, l’aggiunto Maurizio Carbone e il pm Mariano Buccoliero, che coordinano le indagini nelle quali si ipotizzano i reati di distruzione di mezzi di produzione e di appropriazione indebita, proprio per delegare l’indagine sugli aspetti ambientali e quella della sicurezza sui luoghi di lavoro.
L’attenzione dei militari dell’Arma è concentrata su “un attento controllo dell’area a caldo“. L’indagine dei pm di Taranto mira ad accertare se c’è stato depauperamento delle materie prime, se sono state eseguite manutenzioni o se gli impianti rappresentano un pericolo per i lavoratori, poi una verifica complessiva di parchi minerali, nastri trasportatori, cokerie, agglomerato, altiforni e acciaierie in generale. Nelle 70 pagine di ricorso, presentate dai commissari, non c’era solo la tesi di “un disegno illecito per distruggere l’Ilva ed eliminare un concorrente”.
Gli avvocati sottolineavano che le operazioni di spegnimento – che sono state fermate dopo la presentazione del ricorso e dell’esposto – avrebbero potuto essere molto pericolose su più fronti. “Laddove ArcelorMittal dovesse procedere, come preannunciato, alla chiusura degli impianti produttivi dell’area a caldo, gli stessi subirebbero un processo di raffreddamento che causerebbe danni sostanzialmente definitivi ai mattoni refrattari stessi, determinandone la riduzione di volume, l’insorgenza di lesioni, il distacco dalle superfici adiacenti tra mattone e mattone e dalle parti metalliche che realizzano le strutture portanti”, ma in caso di spegnimento e di “riavviamento dell’impianto oggetto della sospensione di produzione”, si “innescherebbe un processo graduale di riscaldamento dei mattoni refrattari precedentemente raffreddati foriero di gravissimi rischi non solo dal punto di vista tecnico ma, anche, sul piano della sicurezza del personale preposto, e dell’impatto ambientale”.
Negli scorsi giorni, si apprende da fonti giudiziarie, è avvenuto uno scambio di atti istruttori è avvenuto tra le procure di Taranto e Milano. L’indagine milanese ipotizza i reati di distrazione di beni dal fallimento e di aggiotaggio informativo, oltre ad un fascicolo autonomo per omessa dichiarazione dei redditi su una società lussemburghese di ArcelorMittal. “C’è massima collaborazione”, ha detto il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli che con i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici coordina l’inchiesta partita dopo la richiesta di recesso del contratto di affitto dell’ex Ilva da parte di ArcelorMittal.