Sono iscritta ad Amazon da molto tempo, e negli anni scorsi ho atteso con ansia il Black Friday per poter comprare on line beni di vario genere, per lo più elettronici, tipo smartphone, salvo spesso ritrovarmi in casa non solo cose di cui non avevo poi gran bisogno. Ma soprattutto dispositivi elettronici usati di vario tipo, ancora perfettamente funzionanti, da smaltire, cosa per nulla facile. Non mi era mai saltato in mente che quel modo di acquistare frenetico e compulsivo, sostenuto da un tam tam martellante delle aziende, Amazon in testa, fosse il sintomo di qualcosa di profondamente patologico.
Non voglio fare l’ecologista dell’ultim’ora, né invitare la gente a dismettere ogni acquisto e vivere con una tunica di canapa e privi di smartphone. Ma non c’è dubbio, da quando ho studiato con maggiore attenzione il fenomeno del cambiamento climatico, e soprattutto approfondito i costi umani ed ambientali aberranti di (quasi) tutte le merci che compriamo, la voglia di acquistare a più non posso mi è passata. Provo un disagio profondo quando leggo che il pigiamino della marca low cost che indossa mio figlio è stato fatto in Bangladesh, paese devastato da povertà e alluvioni, anche causa del cambiamento climatico. Provo dolore a smaltire un rifiuto elettronico da quando, per esempio, ho letto che una buona parte di essi finisce in immense discariche nei paesi poveri, dove la gente persino paga per entrare e poter recuperare qualche materiale. E dove ragazzini e adulti si ammalano delle peggiori malattie, tumori in testa.
E’ ovvio, dunque, che questo Black Friday che si apre per molte aziende già oggi, anche se la data ufficiale è il 29 novembre, non mi dà né gioia né piacere. Anzi sono profondamente d’accordo con i Fridays for Future, che hanno assegnato al prossimo sciopero globale per il clima lo stesso giorno del Black Friday, il 29, un valore simbolico proprio di opposizione al consumo compulsivo sul web. “I grandi marchi concedono sconti sui beni di consumo per incoraggiarci a comprare cose che normalmente non acquisteremo. Dobbiamo cambiare questo modello insostenibile che distrugge l’ambiente per il profitto di pochi”, hanno scritto in un comunicato. Parole dure, però difficilmente contestabili. Perché se anche è vero che questo sistema produttivo dà lavoro a milioni di persone, è altrettanto vero che ormai è diventato insostenibile. E se non è sostenibile, va contrastato, per non dire boicottato, perché se gli ecosistemi collassano non sarà il nuovo televisore al plasma o l’ennesimo smartphone a salvarci.
E tuttavia, di nuovo, non si tratta di vivere in maniera antistorica. Personalmente, continuo ad acquistare su Amazon per oggetti che mai troverei nei negozi, continuo a vivere una vita normale e comprare ciò che mi serve. Quello che è cambiato è la prospettiva sull’acquisto: ormai so che i prodotti sottocosto sono una trappola, che le offerte tre per due è meglio evitarle, che i super mega sconti portano solo cose inutili. Che tutto ciò che lega adrenalina e consumo è sbagliato, perché acquistare dovrebbe quanto meno tornare ad essere una necessità, non un piacere quasi drogato. E allora per questo Black Friday non comprerò niente, e mi unirò idealmente ai giovani dei Fridays for Future che giustamente ne hanno fatto una battaglia ideologica e simbolica, perché anche di queste battaglie abbiamo bisogno.
Il paradigma dell’accumulo di merci deve cambiare, le aziende devono cambiare (e molte lo stanno già facendo). E noi consumatori possiamo fare tantissimo, forse più persino della politica, che come abbiamo visto troppe volte arriva già quando la catastrofe è arrivata e con lei anche le vittime. Non è vero che uno in più o uno in meno non conta. Tutto conta. E conta pure l’esempio in famiglia, perché ai bambini andrebbe spiegato al più presto che felicità e piacere si trovano altrove, nello stare con gli altri, nell’amicizia, nell’imparare cose nuove, nel viaggiare. Che tutte queste cose si possono fare consumando in maniera responsabile. E soprattutto non mettendo il consumo al centro delle nostre emozioni. Non ha nessun senso, se non quello di “drogare” chi ha i soldi per comprare e creare profondo malessere in chi non riesce a consumare come il modello vorrebbe, perché quei soldi non li ha. E pensa, come realmente credono i bambini di oggi, che non potrà mai essere felice perché ha un modello di smartphone antiquato.
Costi ambientali enormi e costi emotivi altrettanto enormi: cos’altro serve per cambiare stile di vita?
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