L’abolizione dello scudo penale è una scusa e la “vera causa” della disdetta del contratto di affitto dell’ex Ilva da parte di ArcelorMittal va ricodotta alle difficoltà economiche e industriali dell’azienda, messe a verbale dai dirigenti della stessa multinazionale. È la conclusione alla quale giungono il procuratore aggiunto di Milano Maurizio Romanelli e i pm Stefano Civardi e Mauro Clerici nell’atto di costituzione nel contenzioso civile tra l’Ilva in amministrazione straordinaria e il gruppo franco-indiano che verrà discusso in prima udienza mercoledì prossimo davanti al giudice Claudio Marangoni. Le 10 pagine firmate dalla procura contengono ampi stralci delle dichiarazioni di alcuni dirigenti di ArcelorMittal e del direttore generale di Ilva in as, Claudio Sforza, ascoltati negli scorsi giorni nell’ambito dell’indagine per aggiotaggio informatico e reati fallimentari. Alcuni passaggi dei loro verbali sostanziano con la viva voce di uomini dell’azienda le accuse avanzate dai commissari straordinari Franco Ardito, Antonio Lupo e Alessandro Danovi nell’esposto alla procura di Taranto e nel ricorso al Tribunale civile di Milano.
La procura: “Vera causa è la crisi d’impresa”
La “vera causa” della fuga di ArcelorMittal, secondo i magistrati, è riconducibile alla “crisi d’impresa”, ma è invece stata “pretestuosamente ricondotta” all’abolizione dell’immunità. Una tesi corroborata dalle dichiarazioni “convergenti” di tre dirigenti dell’azienda – sentiti come testimoni e non indagati – che hanno raccontato ai pubblici ministeri cosa è accaduto nell’anno di gestione della multinazionale. Negli uffici della procura sono stati ascoltati Giuseppe Frustaci, direttore Finishing Genova e Novi Ligure, Sergio Palmisano, diretto Salute e Sicurezza, e Salvatore De Felice.
“Morselli disse che stavano fermando ordini e vendite”
Quest’ultimo ha spiegato a Civardi e Clerici che l’amministratore delegato Lucia Morselli “ha dichiarato ufficialmente” in un incontro “ai primi di novembre” con “i dirigenti e i quadri” che erano stati fermati “gli ordini, cessando di vendere ai clienti”. De Felice ha quindi aggiunto che ogni fermata di un altoforno “non è mai senza danni” e le cokerie sono “ancora più complicate e delicate” perché eventuali danni “hanno immediatamente un risvolto ambientale” perché le polveri del fossile finiscono nei “fumi di combustione con le relative emissioni”. Sempre De Felice ha raccontato che ArcelorMittal ha “cancellato” l’approvvigionamento delle materie prime” per alimentare l’acciaieria.
“Piano prevedeva di lasciare scorte minime”
Quindi, “nonostante la sospensione” del cronoprogramma di spegnimento, l’azienda “non ha tutto quello che serve per proseguire l’attività”. Anche perché il piano, arrestato su invito del Tribunale di Milano, “prevedeva di lasciare una scorta minima di materie prime solo per un altoforno per un mese”. Le dichiarazioni del dirigente di ArcelorMittal confermano le denunce dei sindacati e l’allarme dei commissari straordinari dopo l’ispezione nell’acciaieria tarantina degli scorsi giorni. All’uscita dall’impianto Ardito, Lupo e Danovi avevano fatto trapelare che le riserve di materie prime sono “al minimo” e con quello stock la fabbrica può andare avanti per “un raggio di azione molto ridotto“.
I risultati peggiorati trimestre dopo trimestre
Palmisano ha invece raccontato che l’“entusiasmo” iniziale finì presto. Perché il primo trimestre del 2019 “non è andato bene”, il secondo è andato “peggio del primo”, il terzo è stato “ancora peggiore” e secondo l’ex ad Matthieu Jehl “dovevamo recuperare 140 milioni, con taglio del personale con Cassa integrazione guadagni”, chiesta e ottenuta per 1300 dipendenti. “Il quarto trimestre – avverte Palmisano – sarà difficilissimo perché a seguito del piano di fermata è sostanzialmente tutto fermo, abbiamo disdettato gli ordini ai clienti, le bramme prodotte saranno spedite altrove”.
Il trend di perdita “inesorabile”
Queste dichiarazioni, secondo i magistrati, “lumeggiano” la “vera causa” della “disdetta”. E in questo senso è convergente anche la deposizione di Frustaci che, parlando della redditività dell’azienda, ha spiegato come l’azienda abbia sostanzialmente compreso a marzo che il “problema” era “nella fase della produzione”: “Parliamo di costi globali che evidentemente non garantivano marginalità – ha spiegato – Anzi il trend di perdita appariva inesorabile. Sul punto, ricordo che nelle riunioni tenutesi Jehl dispose di ridurre i costi della manodopera (riducendo lo straordinario che era una componente significativa)”. Il direttore Finishing degli impianti di Genova e Novi Ligure ha poi aggiunto: “I manager stranieri ricordo essere stati molto critici sulla gestione, in quanto ritenevano che i costi industriali fissi (manodopera, manutenzione) e variabili (materie prime) fossero molto alti”.
“Dissero di usare materie prime di qualità inferiore”
Le critiche, ha specificato, “erano indirizzate soprattutto” a Jehl e al direttore dello stabilimento di Taranto, Stefan Van Campe. I vertici del gruppo, ha aggiunto, “sostenevano che per l’attuale ‘marcia’ degli impianti (vale a dire la produzione di 6 milioni di tonnellate di acciaio), la qualità delle materie prime fosse troppo alta e che occorresse utilizzarne di qualità inferiore per abbattere i costi”. Il “quadro di crisi” è stato “confermato” anche da Claudio Sforza, che ha fornito ai magistrati “elementi su una condotta non trasparente” di ArcelorMittal “nell’ostacolare il diritto di ispezione” dell’amministrazione straordinaria. Oltre a spiegare che l’ultimo canone trimestrale di affitto, la cui scadenza era il 5 novembre, “non è stato onorato” e “stiamo quindi iniziando il processo di escussione della garanzia”.
“Jehl e Morselli dissero di aver esaurito la finanza”
Non l’unico elemento a disposizione di Sforza nel descrivere lo “stato di crisi”: “In più riunioni tenute da settembre ad oggi, il precedente amministratore, Matthieu Jehl, sia il nuovo ad Lucia Morselli hanno dichiarato che la società aveva esaurito la finanza dedicata all’operazione”. Un’affermazione che Sforza definisce “non usuale” e specifica essere stata esposta “ufficialmente” e “pubblicamente” nell’incontro tra Morselli e sindacati al ministero dello Sviluppo economico, quando parlò di “disastrosa crisi economica”. Sulla base di questi verbali – e della previsione di circa 700 milioni di perdita nel 2019 messa a verbale dal direttore finance Steve Wampach – i magistrati milanesi ritengono che esista il “pericolo di diminuzione delle garanzie patrimoniali” per il “risarcimento di eventuali danni” e quindi “rende ancor più necessaria e urgente” una pronuncia del giudice che “imponga” ad ArcelorMittal “di astenersi dalla fermata degli impianti” e di “adempiere fedelmente” al contratto firmato.
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