È passato un anno e mezzo da quel 19 aprile 2018. Da quando Valeria Bufo, madre 56enne di tre figli, è stata uccisa dal marito Giorgio Truzzi, 57 anni, con tre colpi di pistola mentre era ferma in macchina a un incrocio di Bovisio Masciago, in provincia di Monza e Brianza. Il marito, ora in carcere dove sta scontando una pena di 30 anni per omicidio e maltrattamento, l’ha aspettata fuori dall’uscita dell’azienda dove lavorava, l’ha seguita e poi le ha sparato con una pistola di grosso calibro. Da quel giorno Alessandro, 30 anni, Stefano, 25 anni, ed Eleonora, 19 anni, i tre figli di Valeria, sono vittime del silenzio dello Stato: “Dall’omicidio di nostra madre non abbiamo avuto nessun aiuto economico – precisa Stefano -. Solo Eleonora, in quanto ancora studente, riceve al mese un contributo. Se non fosse che sia io che Alessandro già lavoriamo, sarebbe stato impossibile andare avanti”. Le spese in casa sono tante: i tre fratelli da un giorno con l’altro si sono trovati a fare i conti con mutuo e notai: “Tocca a noi ora estinguere il mutuo della casa. Non solo: “Abbiamo dovuto pensare alle spese del funerale e a quelle delle pratiche di successione. Senza contare che per giorni non abbiamo potuto procedere con la burocrazia perché occorreva il consenso del coniuge”.

Quando l’attenzione mediatica si spegne, gli “orfani” di femminicidio restano i soli a tener vivo il ricordo della madre e a fare i conti in tasca intanto che lo Stato decida di “scongelare” i fondi promessi ma mai destinati. Proprio oggi il governo ha annunciato di aver preparato il decreto che sbloccherà 12 milioni di euro per il 2019: è un primo passo, ma in attesa che avvenga i figli di Valeria Bufo devono farcela ancora da soli. “Mamma sorrideva sempre”, la ricorda Alessandro. “Prima dell’omicidio c’erano stati altri episodi violenti. Mia madre si era anche presentata dai carabinieri, ma poi aveva ritirato la denuncia. Per trovare un po’ di pace si era trasferita da sua sorella a Bovisio Masciago. Non potevamo immaginare tutto questo”. E aggiunge: “Per una settimana dopo l’omicidio ricordo di aver pensato che non sarei più riuscito ad andare avanti. Come è possibile superare tutto questo?”. Il padre dal carcere li ha cercati due volte scrivendo loro delle lettere, che “noi abbiamo stracciato. Di lui non ne vogliamo più sapere”.

Alessandro, Stefano ed Eleonora decidono di non stare in silenzio: creano un’associazione dedicata a Valeria “X Noi Vale” e organizzano giornate di raccolta fondi necessari per dar vita al progetto “Eco”, ovvero uno sportello telematico d’aiuto alle donne vittime di violenza, ora attivo online grazie anche all’aiuto dell’associazione “Adagio”. E come funziona? “Sulla pagina dell’associazione è possibile – spiega Stefano – accedere allo sportello e chiedere aiuto. Pronti a rispondere ci sono psicologici in grado di sostenere la vittima e assisterla nel caso in cui voglia procedere con una denuncia. Abbiamo pensato a finestra online perché non sempre le donne vittime di violenza riescono a uscire di casa”.

Come loro, altri orfani di femminicidi si sono trovati da un giorno soli, senza un aiuto statale. Eppure le leggi ci sono: con la legge 4 dell’11 gennaio 2018, entrata in vigore il 16 febbraio 2018, il Parlamento aveva garantito agli orfani della violenza domestica assistenza medica e psicologica, accesso al gratuito patrocinio e stanziato soldi per orientamento, formazione e sostegno a scuola e nell’inserimento al lavoro. Per minori o maggiorenni economicamente non autosufficienti. Le leggi ci sono, ma mancano i decreti attuativi per rendere operativa la legge. Ora è arrivata la promessa del ministro dell’Economia e ad attenderla sono in tanti. In Italia, se si guardano gli ultimi 15 anni, si contano almeno 2000 orfani di femminicidi, tra i 5 ad i 14 anni, che in molti casi hanno anche assistito all’omicidio.

Nel 2018 le donne vittime di violenza per mano di compagni o mariti sono state 142, in crescita rispetto all’anno precedente. 94 quelle registrate nei primi dieci mesi del 2019: di cui secondo l’osservatorio sul femminicidio 32 erano mamme. Un quadro che appare ancor più drammatico alla luce della prima indagine sui centri antiviolenza condotta dall’Istat: il numero delle strutture è pari a 281, ovvero 0,05 per 10 mila residenti. Sono, invece, 44mila le donne che hanno chiesto aiuto a un centro e solo due su tre, ovvero 29mila, sono state prese in carico, con percentuali più alte al Nord rispetto a Sud e isole. Le donne con figli sono il 63,7%. Eppure i fondi stanziati a favore dei centri antiviolenza sono ancora in attesa di essere ripartiti tra le Regioni. Risultato? Tutte le spese della famiglia, da quelle dei funerali alle pratiche burocratiche, passano a figli e parenti stretti.

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