Il movimento delle sardine, per ora, mi piace. La scelta di definirsi in modo soltanto negativo, attraverso il rifiuto della Lega di Salvini e della sua propaganda e attraverso la negazione di una affiliazione partitica, mi sembra avere precise e condivisibili ragioni. Le sardine hanno emesso un manifesto alquanto vago, che se non altro costituisce un timido tentativo di fare cultura politica in un paese nel quale la cultura politica è poverissima.

Un manifesto politico non è un programma, men che meno un programma di partito, e va interpretato alla luce del comportamento politico delle sardine, che dicono basta ad una politica fatta di propaganda violenta e intollerante, di sapore alquanto razzista, che la Lega finora ha portato avanti quasi incontrastata. La propaganda di Salvini, al di là dei singoli episodi, riflette un disegno preoccupante: gli attacchi a Laura Boldrini, o la sufficienza nei confronti di Liliana Segre o di Ilaria Cucchi non sono eventi unici ma elementi di una costruzione ideologica finalizzata a fomentare e sdoganare l’intolleranza.

Ciò che Salvini cerca di vendere come un programma politico (prima gli italiani, la droga fa male, etc.) nasconde dietro un’apparente banalità la discriminazione violenta dell’altro. La democrazia permette il confronto tra idee delimitando un ambito di regole condivise che bandiscono la discriminazione. La visione leghista della società mette in discussione l’ambito delle regole democratiche, tanto da richiedere, a volte, di essere salvata dalle inchieste della magistratura, come avvenne per il caso della Diciotti. A nessuno può sfuggire che in quel caso il reato ipotizzato dalla magistratura, sequestro di persona nei confronti di migranti raccolti in mare, era qualitativamente diverso dal solito scandalo tangentizio, e andava a toccare diritti fondamentali degli esseri umani.

Le sardine stanno dicendo a voce alta e chiara che l’intolleranza e l’insofferenza dei diritti degli altri minano alla base le premesse necessarie a qualunque discorso democratico; che opporsi a questa deriva non è affare di un partito ma di ogni società che voglia essere sinceramente democratica. Giustamente le sardine rifiutano etichette e bandiere, così come evitano di elaborare programmi politici definiti: il loro discorso si centra sulle regole fondanti del sistema, non sulle opinioni che nell’ambito delle regole possono trovare spazi di confronto.

In un sistema politico tendenzialmente polarizzato essere contro un candidato significa favorire l’altro. In Emilia Romagna il reale confronto sarà tra due candidati: Bonaccini e Borgonzoni. Se un movimento rifiuta il secondo, i suoi aderenti non possono che votare il primo. Per questo Salvini cerca di ridurre le sardine ad avversari partitici: elettori del Pd piuttosto che della Lega. E’ un modo per evadere il vero argomento delle sardine e depotenziarne il discorso. Le sardine per ora sembrano più furbe di Salvini: rifiutano i partiti e sembrano non volersi costituire come partito. Tra le sardine verosimilmente ci sono elettori del Pd, elettori del M5S, astenuti, ed è giusto che ci siano perché il discorso delle sardine coinvolge tutti.

Finché le sardine mantengono queste posizioni la partita è loro.

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