di Susanna Mattiangeli*

Se si alzano gli occhi mentre si cammina sul lato nord della stazione Termini di Roma, si vede spuntare tra i tetti una gigantesca statua dorata di Cristo Redentore che osserva un punto lontano di fronte a sé, oltre via Marsala e il grande piazzale degli autobus. Per essere qualcosa che non si nota subito, è davvero enorme.

La vedo luccicare da lontano e poi scomparire quando mi avvicino alla ricerca della sede di Siamo Coop, una delle 16 organizzazioni vincitrici del bando PartecipAzione indetto da Intersos insieme ad Unhcr per promuovere l’inclusione dei rifugiati nella società.

Mastico le parole includere, rifugio, società facendomi largo tra la folla all’uscita della stazione ed entro nei locali della Basilica del Sacro Cuore di Gesù, da cui sorge la grande statua dorata che ci sovrasta. Presso i salesiani di Don Bosco c’è da molti anni un centro giovanile aperto a rifugiati e migranti. Nel 2014 un gruppo di volontari della comunità ha pensato di dare ai giovani in difficoltà un’opportunità di lavoro stabile in proprio. Così è nata Siamo Coop, una cooperativa laica che promuove il lavoro di italiani e rifugiati insieme. Come?

Sono partiti da quello che avevano: dei locali offerti da una chiesa e la rete dei parrocchiani, attraverso la quale hanno iniziato a vendere bomboniere per cerimonie e anniversari. Da lì sono andati avanti ampliando l’offerta, organizzando laboratori, studiando una linea di oggetti con il logo SiamoUmani, partecipando a bandi come quello di Intersos. Facendo cioè quello che fanno di solito le imprese. “Solo che questa è un’impresa sociale.” precisa Beatrice, project manager di Siamo Coop dallo scorso giugno. “Quindi riconosce l’esistenza di un problema all’interno della comunità e se ne fa carico”.

Un problema che sta da qualche parte nelle relazioni tra di noi, nella nostra vita di tutti i giorni, un guasto che ha indebolito certe parole come includere, rifugio, società e che Siamo Coop vuole contribuire a riparare proponendo un commercio etico, aderendo alla rete L’Alveare Che Dice Sì con i suoi prodotti biologici a chilometro zero e testimoniando quotidianamente la cooperazione tra italiani e rifugiati.

Beatrice ha 26 anni, è di Roma ed è laureata in scienze politiche. Dopo una borsa di studio a Bruxelles, ha deciso di abbandonare il percorso fatto di certificati, master, titoli per accedere a posizioni nell’ambito della cooperazione internazionale, perché ha capito di preferire un rapporto diretto con le persone. In Siamo Coop si sente utile perché lavora per realizzare un inserimento vero, che vada oltre la sussistenza, di chi nel nostro paese chiede e ottiene un rifugio.

Beatrice parla con orgoglio del progetto vincitore del bando Intersos, Siamo Umani Business Lab, un percorso di formazione destinato a ragazzi rifugiati e italiani che vorrebbero realizzare idee imprenditoriali. Un corso che ha fornito informazioni, testimonianze, consigli pratici e anche le parole che servono ad avviare un’attività, che permettono di mostrare le proprie competenze e di lavorare insieme scambiandosi esperienze. La capacità di proporsi è l’aspetto più importante da costruire e per questo motivo i partecipanti sono stati invitati a fare pratica, dividendosi in gruppi e sviluppando idee di impresa da presentare in una relazione finale.

“Abbiamo cercato di spiegare che l’identità del proprio progetto è uno dei valori su cui bisogna maggiormente investire. Non si tratta tanto di comunicare riproducendo il linguaggio del business ma di riuscire a raccontarsi in modo efficace.” conclude Beatrice, a sua volta consapevole dell’identità di Siamo Coop e del valore di testimonianza del suo lavoro a stretto contatto con Sohila, altra dipendente della cooperativa.

Sohila ha 31 anni, viene da Teheran dove ha frequentato l’accademia di belle arti. È scappata dall’Iran nel 2012, prendendo un aereo per Parigi e facendo scalo per un’ora in Italia. Dopo vari spostamenti è rimasta per un anno in Danimarca dove ha lavorato come insegnante di disegno. Nel 2013 però è dovuta tornare in Italia dopo l’approvazione del regolamento di Dublino III: in quell’ora di scalo a Fiumicino le avevano preso le impronte digitali e secondo le nuove regole l’Italia era il paese responsabile per lei.

Ha dovuto perciò ricominciare da zero, ottenendo nuovamente lo status di rifugiata e venendo ospitata in un centro di accoglienza sulla Prenestina. Sohila sorride spesso, lo fa anche mentre racconta di un grave problema di salute affrontato nel 2013: anno in cui affronta due mesi di coma. “Ma ormai è passata, si va avanti” dice con l’espressione affaticata di chi davvero non vuole guardare troppo indietro. “Ho conosciuto Siamo Coop nel 2017, frequentando uno dei loro workshop: dopo pochi mesi ho cominciato a lavorare stabilmente con loro, occupandomi del design delle bomboniere e delle partecipazioni.”

Da poco è anche diventata socia. Lei può contare sul linguaggio della pittura e della grafica che le ha procurato di che vivere ovunque andasse e, ora che si sente più forte, ha deciso di raccontarsi nei disegni che fa stampare sui quaderni, sulle cartoline piantabili e sugli altri gadget della cooperativa. Un modo discreto di lasciare tracce della sua vita nel suo lavoro: la sagoma di un bambino che tiene uno stormo di uccelli al filo come fossero palloncini, una donna con i capelli sciolti e liberi che guarda davanti a sé.

La giornata di Sohila inizia prestissimo, alle 5: prende le sue medicine, parla al telefono con la sorella più piccola e i genitori che è riuscita a incontrare una sola volta in sette anni. “Mi mancano molto, vorrei che non passasse troppo tempo prima di rivederli. Chissà, magari un giorno le cose cambieranno.” conclude, sempre sorridendo. Davvero mi sembra che qualcosa in questo senso potrà cambiare solo rinforzando certe parole indebolite da troppi anni di confusione e false notizie.

Tornando indietro costeggio via Marsala, la strada della stazione e delle transenne ostili che obbligano chi non ha casa a cercare rifugio qualche metro più in là dalle vetrine esclusive. Cerco di nuovo la grande statua d’oro da dove forse si osserverebbe bene tutto il movimento della la città, il suo flusso di accoglienza e respingimento, inclusione ed emarginazione; oppure ormai non si distinguerebbe più nulla, alla luce calante del pomeriggio. Quaggiù noi andiamo lenti e vediamo solo parzialmente; ma possiamo raccontare le storie, una alla volta.

*Susanna Mattiangeli nasce a Roma nel 1971. Lavora con i bambini da sempre ed è autrice di testi per bambini. Nel 2018 è stata finalista al Premio Strega Ragazzi e ha vinto il Premio Andersen come Miglior Scrittrice.

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