Politica

In Italia servono politiche impopolari. E politici votati all’autodistruzione

di Michele Caimmi

La politica italiana è ormai da anni vittima della parola, della chiacchiera, e priva dei fatti. Tanto fumo e poco arrosto. La comunicazione è tutto, e il recente sbarco di Matteo Salvini su TikTok non fa altro che avvalorare questa tesi.

Basti pensare alla delicata questione delle clausole di salvaguardia dell’Iva. Se da un lato il governo è riuscito a sterilizzarle, evitando quindi un notevole appesantimento della pressione fiscale, dall’altro l’opposizione va urlando ai quattro venti che il governo ha introdotto cinque miliardi di nuove tasse. Il refrain dell’opposizione non è in sé errato, dal momento che tra plastic tax, sugar tax e altre tasse minori la pressione fiscale di fatto aumenterà. Il succo alla fine è che i cittadini non avranno percezione del pericolo di 23 miliardi di tasse scampati, ma noteranno solo quei cinque miliardi. Si affacceranno al panorama politico ed eccola lì, la destra, ad indicargli i colpevoli.

“Sa qual è la qualità principale che deve possedere un buon premier? Lavorare per non essere rieletto”, sostiene Antonio Petrocelli, nei panni del presidente della Repubblica, nel film Bentornato Presidente. Se inizialmente questa può sembrare una frase priva di senso, è sufficiente una minima riflessione per rendersi conto di quanto sia profondamente vera. In questo paese c’è bisogno, prima di tutto, di politiche impopolari. E queste politiche sono necessarie per varie cause: baby, troppo baby, pensioni e cattedrali nel deserto generatrici di mazzette – per citarne solo un paio.

Forti del loro 33% alle Politiche del 2018, il M5S ha dato vita, fin qui, a due governi. Tramite l’azione di questi due governi, i pentastellati sono riusciti a portare a casa alcune delle loro battaglie più simboliche: reddito di cittadinanza, blocca prescrizione, anticorruzione, taglio dei parlamentari, taglio dei vitalizi. Eppure, dopo nemmeno un anno di governo, alle Europee del 2019 hanno ottenuto il 17% dei consensi. Oggi, addirittura, in alcune regioni viene dato ben al di sotto del 10%.

A questo punto queste tre digressioni devono trovare uno sbocco comune. Partendo dal presupposto che, come dichiarato più volte da Beppe Grillo, il M5S si autodistruggerà, non sarebbe il caso di prendere coscienza dello stato delle cose, ovvero che un movimento anticasta dopo aver governato non potrà mai più tornare ai fasti di un tempo, e accelerare questa autodistruzione facendo le riforme necessarie al rilancio del paese?

Luigi Di Maio e soci dovrebbero lavorare proprio per non farsi rieleggere, anche perché è ormai chiaro che non potrà, in futuro, rappresentare il polo alternativo alla destra. Che senso ha lottare per vincere delle percentuali da gregario? Abbiamo visto quanto federalismo è riuscita ad ottenere la Lega Nord ai tempi di Berlusconi: zero, o poco più.

Parlare poco, lavorare molto, non curarsi della rielezione. Per dare un senso, alla fine della legislatura, a quel desiderio di cambiamento espresso da un terzo degli italiani il 4 marzo 2018.

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