Azionista di Dot Media, ha partecipato all'organizzazione della Leopolda. Ora, svela La Verità, è accusata come Donnini di appropriazione indebita e autoriciclaggio per la plusvalenza da 950mila euro, finita nel mirino degli inquirenti. L'inchiesta di Firenze parallela a quella su Bianchi e la fondazione Open
Per anni, insieme al socio Patrizio Donnini con la loro società Dot Media, ha partecipato all’organizzazione della Leopolda. Ora anche lei, Lilian Mammoliti, si aggiunge alla lista dei renziani indagati. L’ambito è quello dell’inchiesta di Firenze sulle compravendite tra la Immobil Green Srl – di cui Donnini e Mammoliti sono soci – e la Renexia dei Toto, che viaggia parallela al fascicolo aperto su una delle casseforti di Matteo Renzi, la fondazione Open. Mammoliti, svela La Verità, è accusata come Donnini di appropriazione indebita e autoriciclaggio. Tramite la Immobil Green Srl nel 2016 e 2017 vengono acquistate 5 società autorizzate a produrre energia eolica. Società che poi vengono rivendute alla Renexia spa della famiglia Toto con una plusvalenza da 950mila euro, finita nel mirino degli inquirenti. Compravendita avvenuta “nella massima trasparenza”, assicuravano i suoi legali.
Il nome della Mammoliti appariva già negli atti di un’altra inchiesta della procura di Cuneo, che vede la madre di Renzi, Laura Bovoli, accusata di bancarotta fraudolenta ed emissione di fatture false per operazioni inesistenti, per i rapporti che la società di famiglia, la Eventi 6, intratteneva con una società cuneese di volantinaggio, la Direkta, fallita nel 2014. Secondo quanto detto da un commercialista ai pm di Cuneo, alla Mammoliti era stata affidata la “contabilità della Direkta Srl”.
Secondo chi indaga, questo affare concluso da Donnini con la Renexia spa – il cui amministratore delegato, Lino Bergonzi, è indagato per appropriazione indebita – non è l’unico che lega l’uomo comunicazione e imprenditore da sempre vicino all’area renziana con il gruppo Toto. Lo ha scritto nero su bianco il Tribunale del Riesame di Firenze il 20 novembre, confermando il sequestro del settembre scorso a carico di Alberto Bianchi, avvocato fiorentino ed ex presidente di Open che ha finanziato le prime edizioni della Leopolda. Bianchi è accusato di traffico di influenze: al centro delle indagini c’è un incarico per un contenzioso con Autostrade affidato al suo studio legale dalla Toto Costruzioni Generali. Secondo i giudici, Bianchi ha “girato” alla fondazione Open e al Comitato per il Sì circa 400mila euro provenienti dal gruppo Toto (che nel 2016 aveva versato in chiaro 25mila euro alla Fondazione tramite la Renexia).
Ma i giudici del Riesame sottolineano pure che “nello stesso periodo di tempo, anche Donnini (tramite la società Pd Consulting, Dot Media, Immobil Green), legato alla Open da rapporti economici (Open aveva corrisposto a Dot Media per prestazioni, nel periodo 2012-2016 somme per 289.592 euro), aveva ricevuto dal gruppo Toto una consistente somma di denaro (Donnini 4,3 milioni, Bianchi 2,9 milioni), in parte per operazioni di compravendita di quote societarie effettuate dalla società Immobil Green prive di valide ragioni economiche e, in effetti, dissimulatorie di un mero trasferimento di denaro”. E anche la Dot Media, rilevano i giudici, aveva elargito al Comitato per il Sì 122mila euro.
Nel frattempo il nome della famiglia Toto, e in particolare di Daniele, è finito anche all’attenzione dei pm di Roma impegnati nell’inchiesta sullo stadio. L’ex tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, nel frattempo passato a Italia Viva, è indagato per fatture false e finanziamento illecito ai partiti: davanti ai pm ha raccontato che consigliò a Luca Parnasi di finanziare la fondazione Eyu, altra cassaforte politica di Renzi. Ma è indagato, solo per finanziamento illecito, anche Giulio Centemero, tesoriere della Lega: nel mirino ci sono i finanziamenti di Parnasi all’associazione Più Voci, tra i cui finanziatori compare appunto anche Daniele Toto, ex deputato del Pdl e di Futuro e Libertà e nipote dell’imprenditore abruzzese Carlo: ha versato 10mila euro.