“Ma come farà a stare con quell’uomo?”
“Come fa a farsi trattare così? È proprio una stupida?”
“Le fa male? Lo lasciasse, è così ovvio!”
Queste frasi riecheggiano spesso nelle nostre orecchie quando si parla di violenza all’interno di una coppia: la gente non capisce come si possa rimanere invischiate entro relazioni che causano dolore, eppure, per alcuni è molto semplice scivolare in una spirale di amore “dipendente”. Robin Norwood parla di “donne che amano troppo”(cfr. Norwood, 1985) per parlare di quelle donne che amano in modo tanto intenso e profondo da annullarsi per il proprio partner.
Ci riferiamo ad un amore dipendente, in cui vi è un attaccamento ossessivo ad un uomo che ha un ruolo nocivo e distruttivo, che ha una ricaduta negativa sulla salute ed il benessere, da cui non ci si riesce a liberare. Il terrore è legato sia allo stare nel rapporto che all’insopportabile paura di abbandono.
Le donne che si mostrano eccessivamente disponibili nelle relazioni, che sentono la necessità di prendersi cura degli altri, trascurando loro stesse e cercando, con spirito salvifico, uomini freddi, problematici o forti e manipolatori, possono chiudersi in relazioni logoranti, in cui la violenza è la vera protagonista, al posto di un amore maturo e rispettoso.
Donne che amano troppo, amano tutti, tranne loro stesse, poiché la bassa autostima, la convinzione di essere responsabili di tutti i mali che le circondano, le portano ad essere incredibilmente empatiche, ma insensibili rispetto a ciò che provano.
Ma se l’amore “maturo e rispettoso”, sembra una valida alternativa all’amore “dipendente”, ipotizzare come possa strutturarsi una relazione caratterizzata da questi sentimenti è tutt’altro che semplice: i greci parlavano di un buon equilibrio fra eros e agape, intendendo il primo come amore passionale, carnale ed il secondo come quel legame che impegna intellettualmente le persone, accettando e tollerando le differenze individuali. La capacità di differenziare se stessi, i propri bisogni e quelli dell’altro, accogliendo questi ultimi, è il fondamento per una relazione d’amore maturo. E il rispetto? Qui la situazione si complica, perché entra in gioco la società. La definizione di rispetto cambia a seconda di dove viviamo, del nostro contesto sociale, ma anche dell’epoca in cui ci troviamo a crescere. Negli ultimi 50 anni, il ruolo della donna nella società occidentale è mutato, a favore dell’indipendenza di scelta e di pensiero, nonché della tutela di diritti pari a quelli degli uomini, sia sul piano del lavoro che delle relazioni. Questo cambiamento nell’universo femminile, ha avuto certamente un impatto su quello maschile, basti pensare che i soprusi che l’uomo era legalmente autorizzato a compiere sulla propria partner ora sono reati punibili, reati da codice rosso.
In occasione della giornata mondiale contro la violenza verso le donne, del 25 novembre, non possiamo dimenticare la diffusione capillare del fenomeno dell’IPV (intimate partner violence), violenza all’interno delle relazioni intime, in Italia. L’Istat riporta che il 13,6% delle donne ha subìto, nel corso della vita, violenze fisiche o sessuali da partner o ex partner, vale a dire 2 milioni e 800mila donne vittime di violenza.
Cosa accade quando le braccia che sono pronte ad accoglierti sono anche quelle con cui vieni vessata? Parliamo del ciclo della violenza e del ruolo della sessualità.
Le relazioni violente sono caratterizzate, secondo la teoria di Lenore Walker, da una ciclicità manipolatoria e soffocante: un uomo ed una donna si amano follemente, ma lui ha continui scoppi di ira, magari dovuti all’alcol, che lo portano ad essere furioso in modo incontrollabile. Inizialmente si manifestano saltuariamente, poi, pian piano, aumentano di frequenza ed intensità, fino a raggiungere picchi di violenza ed aggressività. La donna che ama troppo è spaventata, cerca di fermare e calmare l’uomo, si vergogna, si sente responsabile di ciò che accade, vorrebbe riparare al male che pensa di aver causato. L’uomo si quieta ed inizia a ricercare il perdono, gli animi si calmano, la donna non ha più paura di essere abbandonata, si sente di nuovo accolta ed innamorata. Ricomincia una fase idilliaca di luna di miele, destinata drammaticamente ed inevitabilmente a sfociare nella distruzione e nella violenza della rabbia.
E il sesso? La sessualità è un aspetto fondamentale della coppia, un collante per il legame reciproco e una via di accesso all’intimità personale e relazionale, ma può essere facilmente strumento di scambio o di controllo. Ci sarà capitato spesso di sentir lodare il sesso da arrabbiati come un potente antidoto alla conflittualità, un rapporto più crudo e passionale, in cui l’orgasmo ha una funzione distensiva e di pacificazione. In questo caso, siamo costretti a focalizzarci su alcuni aspetti: la sessualità usata come “scarica”, utile a non pensare, a lungo andare, lascia la rabbia della coppia irrisolta, inoltre, potrebbe essere usata dalla donna in modo strumentale per calmare l’uomo oppure, nell’ipotesi più terribile, potrebbe configurarsi come una violenza sessuale, tramite la quale l’uomo ribadisce il suo controllo nella relazione e riesce a disinnescare la sua rabbia.
Le donne che amano troppo sono vittime, più o meno consapevoli, di una spirale di violenza, da cui sembra impossibile uscire. Rimane da chiedersi cosa si possa fare, di fronte a tutto questo: una risposta sta nel chiedere aiuto, l’altra nel fare rete. Se la donna riesce a raggiungere la consapevolezza di cosa sta vivendo, può rivolgersi alle forze dell’ordine, ai centri antiviolenza, ad un consultorio, a medici o psicologi, per ritrovarsi, ricentrare l’attenzione su se stessa, per imparare ad amarsi. E se non fosse in grado di intraprendere una battaglia tanto grande e coraggiosa, va amata, rispettata e non abbandonata: solo una rete di relazioni, di interessi e di affetto può supportare ed aiutare una donna che ama troppo.
Si ringrazia per la collaborazione la dr.ssa Francesca Vannucchi