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Spagna, il destino del governo di Sànchez passa per i partiti catalani: “Negoziamo tra pari”. La base: “Avanti fino all’indipendenza”

Il leader socialista corteggia la Sinistra Repubblicana di Catalogna chiedendo l'astensione per far partire il suo esecutivo di minoranza. Ma non sarà facile: "Servono tempo e dialogo" . Anche perché i catalani faranno fronte, unendosi anche a baschi e galiziani. Gli attivisti rilanciano: "Aspettiamo le mosse di Madrid. Ma basta repressione che paragona azioni pacifiche al terrorismo"

Da una parte la base: “Il nostro lavoro finirà solo quando la Catalogna sarà indipendente” dicono da Picnic x la Republica, tra i gruppi di manifestanti indipendentisti catalani che hanno riacceso le proteste usando app e piattaforme online. Dall’altra la politica istituzionale, con il corteggiamento da parte del leader socialista Pedro Sànchez (vincitore delle elezioni politiche ma senza maggioranza parlamentare) nei confronti di Erc, la Sinistra Repubblicana di Catalogna, che dalle urne è uscita come quinta forza nazionale pur potendo basarsi su un elettorato solo regionale. Nelle settimane in cui il Psoe e Podemos cercano di far partire davvero un governo di minoranza, i molti aspetti dell’indipendentismo in Catalogna tornano a essere centrale per i destini della Spagna intera, governo compreso. Per far partire l’esecutivo di socialisti e Podemos servirà infatti anche l’astensione nel Congresso dei deputati di Erc. E se quel patto con Podemos che a luglio sembrava impossibile si è risolto in un’ora, l’astensione degli indipendentisti richiederà molto più tempo. Sono d’accordo da una parte e dall’altra: servono tempo e dialogo. Gli indipendentisti resisteranno, specie dopo le condanne dei politici catalani coinvolti nel referendum di due anni fa.

La portavoce del partito repubblicano, Marta Vilalta, ha ribadito che adesso è il turno di Sánchez e del suo partito: “La palla è nella sua metà campo”. Vilalta ha ribadito anche che se il premier uscente non riconosce che “la situazione in Catalogna è un conflitto politico che non può essere risolto a questo stesso tavolo di negoziazione”, il partito non si sposterà dal suo “no” al nuovo insediamento al governo del Psoe. “Siamo in attesa delle sue condizioni concrete per l’investitura: negoziare ‘tra pari’, con un calendario già programmato e garanzie della possibilità di apertura da parte del Psoe. Altrimenti capiremo che non c’è nulla da fare”. Vilalta tra l’altro ha ribadito che ci saranno incontri anche con Junts per Catalunya (gli indipendentisti di centrodestra), la Cup (indipendentisti di sinistra), Bildu (la coalizione di partiti nazionalisti di sinistra dei Paesi Baschi) e il Bng (i nazionalisti di sinistra della Galizia). Riunioni per agire come unità strategica e non come “singoli”. Insomma: l’asticella si alza ulteriormente.

Dal lato dei socialisti c’è stata un’apertura che, dopo le promesse elettorali, non era così scontata: in una conferenza stampa alla Moncloa Sánchez ha lasciato la porta aperta ad alcune delle esigenze degli indipendentisti e ha “dimenticato” la promessa fatta durante il dibattito pre-elettorale di rendere illegali e perseguibili per legge i referendum come quelli del primo ottobre del 2017.

Insomma, oltre al pre-accordo di coalizione in meno di 48 ore tra socialisti e Podemos, queste elezioni hanno portato anche un cambiamento radicale delle posizioni di Sánchez sulla situazione catalana: da posizioni moderate e quasi vicine a quelle del Partito popolare (con l’intenzione di andare a influire sulla televisione catalana e sull’istruzione) alla scrittura della sua proposta definitiva, che sarà parte del discorso d’investitura, con Pablo Iglesias. El Periódico ha raccontato che la comunicazione tra Sánchez e Pere Aragonès (vicepresidente della Generalitat catalana) non si è mai interrotta, anche se nel frattempo le chiamate del governatore Quim Torra rimangono senza risposta.

E gli attivisti dell’indipendentismo? All’indomani del voto nazionale, contattati da ilfattoquotidiano.it, hanno mantenuto il punto, anche con toni molto più decisi: “Lo Stato spagnolo è sempre fuggito davanti alla sua responsabilità di fare politica e di rispondere alle nostre richieste, come popolo, in maniera politica – spiegano da Picnic x la Republica – Fino a quando non ci si siederà e si parlerà non otterranno da noi niente più che il più assoluto rifiuto. L’obiettivo delle mobilitazioni non è stato mai quello di condizionare le elezioni“. Citano le figure di riferimento della lotta non violenta, da Henry David Thoureau a Martin Luther King, fino a Gandhi e al catalano Lluís Maria Xirinacs. Il lavoro che fanno, continuano, “è indipendente da qualsiasi risultato elettorale e finirà solo quando la Catalogna sarà indipendente. Non sappiamo quale sarà il prossimo passo del Governo per provare a risolvere i problemi che ci sono nel Paese, sappiamo solo quale pensiamo che dovrebbe essere: accettare la volontà del popolo e disobbedire alle leggi spagnole per cominciare a costruire lo Stato catalano. A ottobre 2017 il popolo catalano è stato molto chiaro circa quello che si sarebbe dovuto fare e il parlamento lo ha approvato. La volontà del popolo catalano dunque si è espressa con chiarezza sia per le strade che in Parlamento. Ora, che il governo faccia la sua mossa”.

Le mobilitazioni nelle ultime settimane sono riprese, anche in modo innovativo attraverso le app. “Sono il risultato non solo di due anni di repressione, ma di molti più anni di un’attitudine arrogante e repressiva dello Stato spagnolo contro i diritti umani dei catalani, di autodeterminazione, d’espressione, di partecipazione politica e via dicendo. Così, il risultato di queste elezioni è il risultato del fatto che la cittadinanza catalana ne ha decisamente abbastanza di questa situazione”. E’ questa una delle difficoltà maggiori, dicono da Picnic: “La repressione indiscriminata dello Stato spagnolo, che criminalizza comportamenti pacifici comparandoli alla stregua del terrorismo. Però è una difficoltà contro la quale ci troviamo a combattere anche il silenzio delle istituzioni europee che permettono queste attitudini fasciste in uno Stato europeo che è nato proprio per evitare che il fascismo tornasse a proliferare in Europa, per garantire la libertà dei popoli minoritari europei”. Poi, infine, ci sono i costi. Dal 13 novembre sono pubblici: per “infrastruttura audiovisiva, tecnologia, sicurezza, materiale di propaganda, cassa di resistenza e servizi legali” sono stati spesi 135.818 euro e lo Tsunami democratic ha creato una pagina del sito dalla quale è possibile fare delle donazioni da 5, 10, 25, 50 e 100 euro da poter effettuare con Stripe, così da non dover lasciare troppi dati. Un modo in più per continuare ad “aggregare le gocce” per rendere realtà il desiderio di indipendenza.