Tra gli arrestati un commercialista con studio a Gioia Tauro (Reggio Calabria) e un ex funzionario della banca Commercio ed Industria di Milano
Cooperative fallite, documenti contabili nascosti o distrutti ed evasione fiscale. Sono questi i reati contestati a 34 persone per cui il giudice per le indagini preliminari ha disposto l’arresto eseguito dai militari della Guardia di Finanza di Como, con gli agenti della Squadra Mobile di Milano. Per 22 è stato deciso il carcere, per gli altri 12 gli arresti domiciliari. Tra gli arrestati Massimiliano Ficarra commercialista con studio a Gioia Tauro (Reggio Calabria) e Cesare Giovanni Pravisano, ex funzionario della banca Commercio ed Industria di Milano. Oltre alla sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte per oltre 3 milioni di euro attraverso 20 società cooperative, di pulizie e facchinaggio, ed una srl e la bancarotta per distrazione (per un totale di oltre 15 milioni di euro) in riferimento ad altre 12 società cooperative fallite, ad alcuni è contestato anche la turbativa per due gare pubbliche indette dal Comune di Como per l’affidamento di due concessione: una riguardante il “ristorante Spiaggia” (Compendio di Villa Olmo) e una riguardante lo stabilimento balneare con bar “Lido di Villa Olmo”.
Uno degli indagati è stato individuato a Bucarest. La Polizia romena ha arrestato Mario Rattaggi, cittadino italiano. L’uomo, indagato per i fallimenti di alcune cooperative, è ritenuto dagli inquirenti di Como un prestanome di Ficarra che curava le scritture contabili di società riferibili alla nota famiglia Piromalli, e di Pravisano. L’arrestato è ora a disposizione dell’Autorità Giudiziaria romena in attesa del provvedimento di estradizione in Italia.
Stando alle indagini dei finanzieri di Como ed Olgiate Comasco e dalla Squadra Mobile di Milano il commercialista e l’ex funzionario di banca dal 2010 avrebbero sostituito società “dolosamente e preordinatamente destinate al fallimento” come consorzi e società cooperative di lavoro con “nuovi veicoli societari costituiti con la medesima finalità”. Un sistema in cui “venivano costituite società cooperative di lavoro, quali soggetti giuridici di comodo intestati a prestanome e di fatto gestite da consorzi, nonché utilizzate come meri contenitori di forza lavoro e soggetti fiscali su cui dirottare gli oneri tributari e previdenziali, mai assolti nel decennio di attività; i consorzi rappresentavano il soggetto passivo d’imposta, dotato di un DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) fiscalmente in regola; presentavano le prescritte dichiarazioni fiscali e avevano alle dipendenze solo personale con funzioni amministrative regolarmente assunti”.
Per innescare la frode era necessario che le cooperative emettessero fatture per operazioni inesistenti nei confronti dei consorzi. Nelle fatture venivano falsamente addebitati i costi del personale. Veniva così consentito l’abbattimento dell’Iva scaturito dalla fatturazione delle prestazioni al consorzio, “nonché un risparmio dei contributi previdenziali e assistenziali che il consorzio avrebbe dovuto sostenere nel caso avesse assunto i dipendenti delle varie cooperative”. I soldi venivano trasferiti dai consorzi alle cooperative, a pagamento delle false fatture, e venivano prelevati in contanti, con assegni o con bonifici bancari a loro stessi a pagamento di propri compensi. Da qui era nata la necessità di creare delle società cooperative, a cui formalmente attribuire l’assunzione del personale dipendente, creando così il presupposto per una ipotetica parvenza di operatività e poter quindi emettere fatture per la fornitura di manodopera nei confronti del consorzio. Le indagini hanno permesso di accertare che le cooperative oggetto di indagine erano tali solo sulla carta, ma di fatto erano vere e proprie società operanti prevalentemente nel settore delle pulizie e facchinaggio, ufficialmente intestate a cittadini italiani risultati essere dei meri prestanome, ma in realtà tutte riferibili ai due professionisti. Le pseudo-cooperative, che lavoravano in subappalto per conto dei consorzi, riferibili ai due arrestati, “rimanevano in attività per circa due anni generando volumi d’affari piuttosto consistenti, mediamente oltre 1 milione di euro, che però venivano completamente nascosti al Fisco in quanto le cooperative non presentavano alcuna dichiarazione fiscale”.
Trascorso il periodo di operatività, le cooperative venivano lasciate inattive e ne venivamo costituite di nuove che operavano nel medesimo modo, con gli stessi clienti e nelle quali venivano trasferiti i soci/dipendenti i quali, nella gran parte dei casi, non erano neanche a conoscenza di essere inquadrati come tali. Questa apparente regolarità formale ha consentito agli indagati di far acquisire ai consorzi, di volta in volta costituiti, numerose commesse da parte di enti privati e pubblici aventi ad oggetto prestazioni di servizi quali facchinaggio e pulizia. Tanto è stato raggiunto anche grazie ai contatti di Pravisano con l’indagato Marino Carugati (ex sindaco di Lomazzo) e suo socio d’affari, a sua volta indagato di reati di bancarotta per distrazione ed emissione di fatture a fronte di operazioni inesistenti.