Presentato in prima italiana al 37esimo Torino Film Festival il film della macedone Teona Strugar Mitevska ha un’invidiabile contemporaneità espressiva
Nel paese dei sogni Petrunya sarebbe presidente del consiglio. Solo per quel “studio l’integrazione del comunismo nelle istituzioni democratiche” andrebbe baciata seduta stante. Invece, il maturo personaggio femminile di un film splendido e godibilissimo, Dio è donna e si chiama Petrunya, presentato in prima italiana al 37esimo Torino Film Festival, è costretto a vivere nel contesto tradizionalista e oppressivo di una società arcaica macedone. Petrunya (clamorosa l’intensità e l’ironia dell’attrice Zorica Nusheva) subisce le angherie sibilline della madre (“sei brutta, mettiti questo vestito altrimenti stai male”) e finisce fuori tempo massimo per trovare un lavoro: è sulla soglia dei quarant’anni, “laureata in storia” (una battuta detta parecchie volte che ci ha fatto parecchio ridere), disoccupata, e chiaramente non inquadrabile nella “norma” di un innevato paesino di campagna retrivo e cinico. Respinta ancora una volta da un rampantino direttore di azienda, intravede per strada una processione di religiosi ortodossi e quando è il momento del rito arcaico, gettare da un ponte un crocifisso di legno nel fiume, senza nemmeno pensarci si getta in acqua (è gennaio, è un freddo bestiale) e battendo la concorrenza di un manipolo agguerrito di maschi a petto nudo, agguanta il trofeo sacro tra il panico e le proteste di tutti.
Perché quel gesto è riservato da centinaia di anni solo agli uomini e Petrunya in qualche modo, e con la vicinanza di una giornalista in cerca di scoop, dovrà rendere conto di questo gesto fuori dalle regole. Chiaro, la regista Teona Strugar Mitevska, trova la giusta distanza da prendere rispetto al racconto sia a livello di sense of humor che a livello di tensione per rappresentare questo scorrere turbolento, paradossale, a tratti impercettibili vagamente surreale, del corso degli eventi (tra l’altro lo script si basa su un episodio di cronaca avvenuto realmente in Macedonia). Ogni sembianza di autorità secolare e non (la polizia, la chiesa ortodossa e il patriarca, la procura generale) vorrebbe sanzionare e punire Petrunya la blasfema, ma lei ha mille armi per opporsi, tra cui anche la reazione fisica a degli improvvisi gesti di violenza maschile.
Per questo Dio è donna ha una forza immensa non solo simbolica di ribellione di genere e sociale, ma anche in un’invidiabile contemporaneità espressiva (leggasi un film d’essai non visivamente anticaglia pesante). La caratterizzazione della protagonista è straordinariamente fuori dalle righe ma senza eccedere in bizzarrie. La drammaturgia oscilla volontariamente tra sberleffo alla tradizione del contesto e una sinistra impronta di attesa per il turning point risolutivo. Infine la regia, nello specifico il cadrage. La Mitevska trova il punto di equilibrio significante dell’intero film proprio nell’allestire ogni singola inquadratura, ogni singolo punto macchina, creando una sinfonia di senso anche solo attraverso la disposizione di soggetti, oggetti e sfondi e relativi rigorosi bordi entro cui ritagliare il mondo rappresentato.
Petrunya occupa spesso spazi in maniera armonica e geometrica, sovrasta un’angolazione di profilo, pervade di natura ribellistica ogni primo piano. Anche se in Dio è donna sono le inquadrature a figura intera a fare la differenza e ad attrarre l’attenzione più o meno consciamente. Mitevska oltretutto non trascura la composizione sonora del film, mescolando rumori d’ambiente, respiri della protagonista e commento musicale tout court come fossero un’unica fonte organica. “In molti mi chiedono se è un film femminista, ma ogni film con un personaggio femminile fuori dagli schemi e dai ruoli consueti è un film femminista”, ha affermato la regista. “È difficile per me anche immaginare di essere una donna e non essere femminista, non fare propri cioè dei principi necessari di giustizia e uguaglianza. Petrunya è un simbolo di modernità che si oppone a ben due poteri consolidati, la Chiesa e lo Stato. È un personaggio che cambia nel corso del film ed è la sua sete di giustizia a farle mettere da parte l’umiltà iniziale e trasformarla in ciò che realmente è: una donna consapevole dei propri diritti che incarna la forza del cambiamento”. Con un finale animalesco e animalista sfuggente e commovente. E per chi fosse a Torino c’è una ricca retrospettiva su Teona Strugar Mitevska per l’intera durata del festival.