Cinema

Sono innamorato di Pippa Bacca, al Torino Film Festival una storia poetica, dolce e violenta

Storie dell’Italia che resiste. Storie di donne che resistono anche quando sembrano soccombere alla violenza, alla sconfitta. Ricordate Pippa Bacca? Era il 2008 quando due strane ragazze si lanciarono in un’avventura che sembrava impossibile: fare un viaggio in autostop da Milano a Tel Aviv, attraversando undici paesi per portare un messaggio di pace. Il viaggio finì tragicamente il 31 di marzo, quando Pippa Bacca, dopo essersi separata dalla compagna di viaggio Silvia Moro, fu violentata e uccisa. Ora la storia di Pippa è diventata un film (Sono innamorato di Pippa Bacca) diretto da Simone Manetti e presentato al Torino Film Festival proprio nel giorno della giornata contro la violenza sulle donne.

La storia di Pippa è una storia poetica, dolce e violenta come solo le poesie sanno esserlo. E il film le rende giustizia, la accompagna nella vita che va incontro alla morte e che però è vincente proprio in quel momento, come dice la madre di Pippa alla fine del film. Infatti “vinci se vivi, se scegli di non vivere non hai niente in mano”. Pippa è un’artista performer, la sua arte è la sua persona, il suo agire è il suo prodotto, del resto è la nipote di Piero Manzoni. Decide con Silvia di fare il viaggio, caricandolo di significati simbolici. L’abito da sposa delle due è in sé un messaggio di pace, ma ognuna lo connota diversamente: Pippa lo compone di undici veli, come undici sono i paesi martoriati dalle guerre che lei vorrà attraversare; Silvia si fa ricamare un piccolo segno da una donna per ogni paese. Insieme, viaggiando e camminando, dovranno sporcare i loro abiti candidi, non aver paura del nero che verrà a imbrattare quel candore. Poi c’è la lavanda dei piedi alle ostetriche: un segno evangelico di umiliazione di fronte a chi ha dato la vita: chi vede la gioia della vita non può essere capace di uccidere. Oppure: le donne danno la vita, gli uomini danno la morte. Poi c’è l’ospitalità: in ogni città dove fanno tappa le due ragazze sono ospitate da qualcuno che si offre, come loro si offrono agli altri, al mondo. Poi c’è l’autostop: non bisogna rifiutare nessun passaggio, dice Pippa, perché ogni passaggio è un dono di pace. E qui accade la svolta: Pippa e Silvia si separano perché Silvia non condivide la scelta di Pippa di accettare sempre tutto, per principio. Poco dopo Pippa sarà violentata e uccisa da un cittadino turco, a settanta chilometri da Istanbul.

Basterebbe già questa storia a rendere conto della ricchezza del film, ma Sono innamorato di Pippa Bacca è molto di più: è lasciare spazio anche al vuoto, alle pause, che, come sanno i grandi autori di cinema, spesso è molto più eloquente del pieno. Parlano le molte sorelle di Pippa per ricostruirne la vita di bambina che cresce in una famiglia strana, dove il padre è assente e la madre fa scelte singolari, con le cinque bambine tutte vestite con gli stessi vestiti moltiplicati per cinque, “per non perderle di vista”. E parlano sedute in un angolo dello stesso divano: stesso taglio di inquadratura per tutte, con un ampio spazio vuoto nel divano e nell’immagine, come se quello spazio fosse lo spazio di Pippa, o quello dell’utopia che si racconta. Anche la madre parla in un’immagine décadrée, guarda fuori campo, nel fuori campo del ricordo, o della pace. Poco a poco viene fuori l’umanità di Pippa, anche la sua fragilità nell’assumere identità diverse: Giuseppina (il suo vero nome, all’anagrafe), Pippa, Eva Adamovic, Coniglio verde… Ognuno di questi nomi è una vita diversa, potrebbe essere anche un film diverso, un’altra storia. Non c’è umanità se non c’è intelligenza, istinto nel cogliere l’essenza delle cose: rendere omaggio alle ostetriche vuol dire, come ricorda Silvia, inginocchiarsi davanti a coloro che sono “più donne delle altre donne” proprio perché sono all’origine della vita.

La storia drammatica di Pippa dovrebbe finire malinconicamente, con la morte e il lutto. Invece il film si chiude con la luce (perfino con il bianco accecante su cui scorrono i titoli di coda), di cui non si sa se ringraziare più Manetti o la madre di Pippa e Silvia. Non possiamo accontentarci dell’equazione uomo=bestia o dire che le donne devono stare a casa, dice Silvia. Bisogna ritornare nella strada. Giorgio Gaber cantava che la strada è l’unica salvezza e che solo nella strada possiamo conoscere chi siamo. Pippa l’ha scoperto in quel fatale ultimo viaggio, partito non per caso l’8 marzo e finito meno di un mese dopo, in un boschetto dalle parti di Istanbul.

Dopo la presentazione al Torino Film Festival il film uscirà nelle sale, distribuito da Wanted, forse proprio l’8 marzo dell’anno prossimo.