Il giudice del Tribunale di Milano, Claudio Marangoni, ha rinviato al 20 dicembre l'udienza del procedimento sul ricorso cautelare d’urgenza presentato dai commissari contro l’addio di ArcelorMittal proprio perché si è aperto un negoziato. I legali: "Clima positivo, ci sono le basi perché si possa arrivare a un accordo". Morselli: "Garantiamo attività fino alla prossima udienza"
Ventitré giorni per trattare. Alla luce del rinvio chiesto dai commissari e concesso dal giudice, a tanto ammonta il tempo che il governo e ArcelorMittal avranno per trovare una soluzione extragiudiziale al tentativo di fuga della multinazionale dagli stabilimenti dell’ex Ilva e siglare un accordo per mantenere la produttività ordinaria. Il giudice del Tribunale di Milano, Claudio Marangoni, ha rinviato al 20 dicembre l’udienza del procedimento sul ricorso cautelare d’urgenza presentato dai commissari contro l’addio di ArcelorMittal proprio perché si è aperto un negoziato dopo il faccia a faccia tra il premier Giuseppe Conte, Lakshmi Mittal e suo figlio Aditya.
Il ricorso cautelare era stato presentato dopo che il gruppo franco-indiano aveva depositato l’atto di citazione con cui ha dato il via alla causa civile – prima udienza il 6 maggio – per chiedere di venire meno al contratto d’affitto a causa di modifiche delle condizioni. La mossa d’urgenza è stata però rallentata dal passo indietro di ArcelorMittal sullo spegnimento degli altiforni, inizialmente in programma il 10 dicembre.
“Ci sono degli impegni assunti secondo quanto previsto”, ha commentato l’avvocato Giorgio De Nova, legale dei commissari dell’ex Ilva. “C’è un clima positivo – ha aggiunto – quando le udienze sono così corte… Comunque c’è sempre da lavorare”. “Ci sono le basi per una trattativa che possa arrivare ad un accordo”, è stata la sintesi dell’avvocato Enrico Castellani, altro legale dei commissari, e di Ferdinando Emanuele, avvocato di ArcelorMittal.
All’udienza erano presenti i commissari straordinari Franco Ardito, Antonio Lupo e Alessandro Danovi, nonché l’ad dell’azienda Lucia Morselli. La dirigente, da quanto si è saputo, in aula ha rilasciato una dichiarazione spiegando, da un lato, che l’azienda, pur non essendo obbligata, ha ottemperato all’invito del Tribunale dei giorni scorsi a non bloccare la produzione nella pendenza del procedimento civile, ossia a non assumere “iniziative irreversibili” per il funzionamento degli stabilimenti. Morselli ha contestualmente assunto l’impegno, fino alla prossima udienza in cui si farà il punto sul raggiungimento dell’accordo tra le parti, a garantire il “normale funzionamento degli impianti e la continuità produttiva”. Il 20 dicembre sono tre gli scenari possibili: il giudice deve prendere atto che si è trovato un accordo extragiudiziale, le parti possono invece chiedere un ulteriore rinvio per definire i dettagli di un accordo in arrivo oppure i commissari e ArcelorMittal potrebbero far presente che non si è trovata una soluzione e dunque procedere per vie legali.
A sostegno della posizione di Ilva in as si è schierata anche la procura di Milano rappresentata in aula dall’aggiunto Maurizio Romanelli e dai pm Stefano Civardi e Mauro Clerici. I magistrati milanesi nel loro atto di costituzione nel giudizio civile avevano sposato la tesi dell’amministrazione straordinaria sulle “vere ragioni” dell’addio di ArcelorMittal che, a loro avviso, non hanno nulla a che fare con l’abolizione dello scudo, definito un “pretesto”. Dietro la volontà di abbandonare gli impianti ci sarebbe invece la “crisi d’impresa”.
Per sostenere l’impianto, i pm hanno allegato all’atto anche i verbali di alcuni dirigenti della multinazionale, sentiti nell’ambito dell’inchiesta penale aperta dopo l’atto di recesso e che ipotizza l’aggiotaggio informativo e reati fallimentari, nel quale viene descritto l’andamento economico-finanziario della gestione dei franco-indiani. Nei giorni seguenti alle loro deposizioni di fronte ai magistrati, ArcelorMittal ha deciso di “demansionare” Sergio Palmisano, uno dei dirigenti ascoltati negli uffici della procura a Milano.