I finanzieri sarebbero ancora impegnati in attività che non sarebbe stato possibile eseguire o comunque portare a termine ieri. L’obiettivo è quello di acquisire documenti per chiarire i rapporti tra l'ente e i suoi finanziatori, nessuno dei quali al momento sarebbe indagato
Non erano venti come si era appreso ieri, ma oltre trenta le perquisizioni disposte dalla procura di Firenze, guidata da Giuseppe Creazzo, nell’ambito dell’inchiesta sulla Fondazione Open, l’ente privato nato per sostenere le iniziative politiche di Matteo Renzi che per i pm sarebbe stata utilizzato come “un’articolazione di partito” senza rispettare la normativa sul finanziamento ai partiti. I finanzieri sarebbero ancora impegnati in alcune perquisizioni che non sarebbe stato possibile eseguire o comunque portare a termine ieri (martedì). L’obiettivo è quello di acquisire documenti per chiarire i rapporti tra Open e i suoi finanziatori, nessuno dei quali al momento risulta indagato. Le indagini sin qui svolte, si legge nel decreto di perquisizione, avrebbero fatto emergere “significativi intrecci” tra prestazioni professionali rese dell’ex presidente della fondazione, avvocato Alberto Bianchi, e dai suoi collaboratori, e i finanziamenti alla fondazione. Obiettivo di chi indaga è “accertare quali siano in dettaglio, i rapporti instauratisi tra la Fondazione Open e i soggetti finanziatori della Fondazione”.
I pm indagano, a vario titolo, anche per appropriazione indebita aggravata, riciclaggio e autoriciclaggio, false comunicazioni sociali. Nel registro degli indagati è finito per finanziamento illecito anche Marco Carrai, amico personale di Renzi. Carrai, come Luca Lotti e Maria Elena Boschi, sedevano nel consiglio di amministrazione dell’ente privato chiuso dopo che l’ex premier ha perso la leadership del partito. Ma il primo nome a essere iscritto è stato quello dell’avvocato Alberto Bianchi, ex presidente della Open, che risponde di traffico di influenze e finanziamento illecito.
L’inchiesta su Bianchi, che è indagato appunto per traffico di influenze illecite tra il 2016 e il 2018, era partita con l’ipotesi di un presunto pagamento effettuato dalla società di costruzioni Toto all’avvocato per una consulenza. Stando ai riscontri della procura, parte di quel denaro sarebbe stato poi versato dal legale nelle casse della Fondazione. Nei giorni scorsi il Tribunale del Riesame, confermando i sequestri eseguiti a settembre a carico del legale, scriveva che il gruppo Toto ha compiuto operazioni “dissimulatorie” per finanziare la Fondazione. Ieri le Fiamme gialle hanno bussato alla porta di altri finanziatori che non sono indagati.
Nella lista dei perquisiti c’è Davide Serra imprenditore amico dell’ex premier, la multinazionale del farmaco Menarini della famiglia Aleotti nelle persone Alberto Giovanni, Lucia e Benedetta Aleotti, ci sono anche le società dell’armatore napoletano Vincenzo Onorato, oltre a quelle che fanno capo all’imprenditore napoletano Alfredo Romeo (quello del caso Consip e imputato a Napoli per corruzione). Gli investigatori della Gdf, che agli atti dell’indagine hanno già depositato sette informative ai pm Antonino Nastasti e Luca Turco, hanno bussato anche alle porte della Impresa Pizzarotti di Parma che si occupa di costruzioni, la Getra Power di Marcianise società elettrica della famiglia Zigon, del gruppo Gavio, concessionario italiano delle autostrade. Nella lista delle Fiamme Gialle anche la Garofalo Health Care, società del settore della sanità privata e la British American Tobacco. In sei anni – la procura contesta i reati dal 2012 all’anno scorso – nelle casse della Fondazione Open sono finiti 6,2 milioni di euro e i m vogliono accertarsi che questi versamenti – previsti dalla legge – non fossero in qualche modo una contropartita come già ipotizzato nei confronti del gruppo Toto.