“Lo Stato di primo contatto non può che identificarsi in quello della nave che ha provveduto al salvataggio”. Così il tribunale dei ministri di Roma si è espresso sulle accuse di omissione di atti d’ufficio e abuso d’ufficio mosse contro l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini e del capo di Gabinetto Matteo Piantedosi, per aver negato lo sbarco ai 65 migranti che si trovavano a bordo della nave tedesca Alan Kurdi, della Ong Sea Eye, nell’aprile scorso. Le motivazioni riportate dal Fatto Quotidiano in edicola oggi (mercoledì 27 novembre) stabiliscono di conseguenza che se una nave che raccoglie i naufraghi batte ad esempio bandiera tedesca, è alla Germania che deve rivolgersi per ottenere l’approdo.
Certo poi entrano in gioco i concetti di “porto sicuro” non sempre però facilmente identificabile. E “l’assenza di norme di portata precettiva chiara applicabili alla vicenda non consente di individuare, con riferimento all’ipotizzato, indebito rifiuto di indicazione del Pos (Place of safety), precisi obblighi di legge violati dagli indagati, e di conseguenza di ricondurre i loro comportamenti a fattispecie di rilevanza penale”. Il tribunale romano sottolinea inoltre che quando – come nel caso della Alan Kurdi, e come spesso accade – le coste di quel Paese sono troppo lontane, “la normativa non offre soluzioni precettive idonee ai fini di un intervento efficace volto alla tutela della sicurezza dei migranti in pericolo”.
L’odissea della nave, bloccata per dieci giorni, era terminata il 13 aprile. A bordo c’erano 65 migranti tra cui 12 donne, una incinta, e un bambino. Due donne e un membro dell’equipaggio erano stati evacuati per le condizioni di salute nei giorni precedenti. A sbloccare la situazione anche il ministro dell’Interno francese Castaner che si era detto disponibile ad accogliere 20 persone. Un’azione di regia era stata fornita dalla Commissione Europea che si è detta “sollevata” dalla notizia dello sbarco.