Un’inchiesta giornalistica dettagliata sul prestito che gli ha consentito di acquistare la villa da 1,3 milioni di euro a Firenze per Matteo Renzi è diventata “un avvertimento”. L’ex premier lo ha spiegato in mattinata con parole non diversamente interpretabili durante la sua ospitata a Circo Massimo, su Radio Capital: “Ho solo criticato l’invasione di campo di due magistrati nella sfera politica e la risposta è la diffusione di miei documenti privati personali” ha detto il leader di Italia Viva, che ha usato la parola “avvertimento” in riferimento alla tempistica con cui è stata pubblicata la notizia dall’Espresso. Nella fattispecie, nel pomeriggio di ieri il settimanale ha messo online sul suo sito l’anticipazione dell’inchiesta a puntate che sarà in edicola da domenica primo dicembre: si tratta dei 700mila euro prestati all’ex premier dagli imprenditori Maestrelli (e restituito dopo 4 mesi) tramite il conto corrente della loro anziana madre e utilizzati da Renzi per acquistare la villa di via Tecca, a due passi da piazza Michelangelo, una delle zone più esclusive di Firenze. Il prestito e l’operazione immobiliare risalgono a un anno e mezzo fa e, come racconta il Corriere della Sera, la compravendita ha attirato l’attenzione dell’Antiriciclaggio, che ha chiesto approfondimenti sul giro di soldi alla base dell’acquisto.
Le carte sulla casa di Renzi nell’inchiesta su Open – A sentire Renzi, però, è sospetto che la vicenda sia venuta a galla nei giorni in cui è esplosa l’inchiesta sui finanziamenti alla fondazione Open, da sempre considerata la cassaforte del renzismo. Quando parla di avvertimento, per l’appunto, l’ex premier collega la pubblicazione dell’inchiesta dell’Espresso alle accuse da lui rivolte ai magistrati fiorentini Giuseppe Creazzo (procuratore) e Luca Turco (pm) dopo la trentina di perquisizioni a carico di altrettanti finanziatori di Open. “Io non ho mai parlato di complotto – ha detto l’ex premier – non ho niente da nascondere, ma sommessamente faccio notare che qualcosa non torna: è evidente, e lancio un appello da questa radio, che il messaggio alle aziende è: ‘non finanziate Italia Viva’ se non volete passare guai”. Renzi ha spiegato inoltre che quando si indaga “significa che ti entrano in azienda, ti portano via i computer, i tablet, i telefonini e che ti bloccano e devi spiegare ai clienti – ha aggiunto – che sei fermo perché hai dato soldi regolari. Un messaggio che quindi dice: se dai soldi a Renzi ti perquisiscono”. L’ex premier ha quindi ribadito di non aver nulla “da nascondere. Ma non vi sembra curioso – ha chiosato – che uno possa ricevere ‘avvertimenti‘ di questo genere?”.
Al momento 5 iscritti nel registro degli indagati – In realtà, il riferimento alla vicenda della villa di via Tecca è contenuto proprio nelle carte dell’inchiesta su Open, che a leggere quanto scrive La Nazione vedrebbe indagate cinque persone: l’ex presidente di Open Alberto Bianchi (finanziamento illecito e traffico di influenze), Marco Carrai (finanziamento illecito) e con accuse diverse (tra cui il riciclaggio e l’autoriciclaggio) l’imprenditore fiorentino Patrizio Donnini e la moglie Lilian Mammoliti (una delle organizzatrici delle convention della Leopolda) e il manager della società Renexia (gruppo Toto) Lino Bergonzi. Sempre a leggere il quotidiano fiorentino, inoltre, nel mirino degli inquirenti c’è anche una Sarl (società a responsabilità limitata) con sede in Lussemburgo: “Si tratta della Wadi Ventures Management – scrive La Nazione – che Marco Carrai ha fondato nel 2012 assieme ad alcuni soci anche israeliani“. La società risulta indicata nel decreto di perquisizione eseguito nei confronti di Carrai, indagato per finanziamento illecito ai partiti, ma nel provvedimento non risulterebbe indicata come tramite per il transito di finanziamenti diretti alla Fondazione Open.
Accertamenti sulla società lussemburghese di cui è socio Carrai – Da parte sua Carrai si è difeso con una dichiarazione: “Come componente del cda di Open ho sostenuto la Fondazione come immagino faccia chiunque appartenga ad una Fondazione e voglia promuoverne le iniziative e sostenerne i valori. Non ho nulla personalmente a che fare con carte di credito e bancomat. Ho fiducia che la magistratura chiarirà presto la mia posizione. So di non aver commesso reati e di aver sempre svolto i miei compiti rispettando la legge”. Carrai è ritenuto dalla procura il personaggio “decisivo” nel reperimento di finanziatori per Open e nel rapporto tra questi e gli esponenti politici vicini alla fondazione. E in questi anni, la sua Wadi Ventures, scrivono i pm Luca Turco e Antonino Nastasi, sarebbe stata “destinataria di somme di denaro di investitori italiani”, imprenditori o aziende “già sostenitori della Fondazione Open”. Tra questi anche Davide Serra, il manager milanese, naturalizzato britannico, che non aveva nascosto di aver finanziato Open con una donazione da 150mila euro. L’altra mattina mentre veniva perquisito Carrai (i militari della Gdf hanno dovuto adottare anche delle cautele legate all’immunità diplomatica perché dallo scorso ottobre è stato nominato console d’Israele a Firenze) i finanzieri – secondo il giornale di Firenze – hanno fatto visita pure a Serra. Anche qui, come altrove, l’obiettivo dei pm è di far luce sui “significativi intrecci” tra i tanti sponsor privati e almeno i due esponenti più attivi della Fondazione Open.
L’origine dell’inchiesta: da Donnini ai finanziatori di Open – All’origine dell’inchiesta, che passo dopo passo è arrivata fino all’elenco dei finanziatori di Open, c’è stata una plusvalenza realizzata da Donnini con la vendita di alcune società attive nel settore dell’energia green. Il successivo passaggio dell’indagine è stata la ‘visita’ a Bianchi nel settembre scorso: tre giorni di perquisizione nel suo studio legale da parte della Gdf in cui è stata sequestrata anche la lista completa dei finanziatori (non tutti usciti allo scoperto, con nomi rimasti coperti per motivi di privacy) della fondazione renziana. Il tribunale del Riesame (che ha dato ragione alla procura fiorentina sul sequestro della lista) in quel trasferimento dal gruppo Toto alla Fondazione Open, schermato da Bianchi, ha intravisto il finanziamento illecito ai partiti. Per i pm, secondo gli atti con cui nei giorni scorsi sono state disposte le perquisizioni presso almeno 25 finanziatori privati, che avrebbero versato somme da oltre 50mila euro, la Fondazione Open sarebbe stata una sorta di “articolazione di partito” impiegata come strumento di finanziamento illecito. Nessuno dei finanziatori privati al momento risulta indagato nell’inchiesta. Open è quindi finita nel mirino della procura insieme a Marco Carrai, l’ultimo ad entrare nell’inchiesta, indicato come “l’anello di congiunzione tra i finanziatori e la fondazione”. La nascita dell’inchiesta, sviluppata dal procuratore aggiunto Luca Turco, a cui si è poi affiancato il pm Antonino Nastasi con il coordinamento del procuratore Giuseppe Creazzo, risale alla scorsa estate.
Sequestrata a Donnini una scatola di scarpe piena di banconote – Secondo La Nazione, in merito alla “singolare e cospicua plusvalenza” realizzata da Donnini, quest’ultimo avrebbe poi ceduto a Renexia, società del gruppo Toto Costruzioni, le quote di alcune società green titolari di progetti nel mercato delle energie rinnovabili. Durante le perquisizioni, oltre a sequestrare all’imprenditore vicino a Renzi (che vive a Bagno a Ripoli, alle porte di Firenze) una scatola da scarpe piena di banconote – scrive ancora La Nazione – le fiamme gialle avrebbero trovato nella sede del gruppo Toto tracce di una parcella (un milione di euro) pagata all’avvocato Alberto Bianchi. Una parte di quei soldi (400mila euro) non si sarebbe fermata nelle tasche di Bianchi e dei suoi collaboratori, ma avrebbe proseguito fino alla cassa di Open, la fondazione vicinissima a Renzi di cui Bianchi è stato il presidente dal 2012 fino al suo scioglimento nel 2018.