Con quel che sta accadendo a Hong Kong chi è contro la Cina a prescindere, in nome di una presunta superiorità delle cosiddette democrazie, potrebbe essere paragonato a uno scienziato che dica “noi siamo contro i buchi neri, preferiamo le galassie”. La Cina è una realtà ineluttabile con cui confrontarsi. Il negazionismo, come tutti i negazionismi, non ha basi nella realtà oggettiva. Luigi Di Maio, ministro degli Esteri dell’Italia, passa per essere filo-cinese. L’intero M5S viene schierato dai media verso il lato del Dragone, semplificazione che fa da contrappeso alla vicinanza della Lega alla Russia di Putin.
Invece imparare a convivere e fare affari con la seconda potenza economica mondiale è segno di realpolitik. Altro che illiberalismo. Tesi sostenuta da Angelo Panebianco sul Corriere della Sera: “C’è un’evidente coerenza fra l’orientamento illiberale degli odierni (detti sovranisti) europei e le loro scelte di politica internazionale”. No, egregio Panebianco, la sua è una semplificazione didascalica che non tiene conto della realtà dei fatti.
Partiamo da piccoli ma significativi segnali. Per esempio, per la prima volta la Cina ha ora più postazioni diplomatiche in tutto il mondo rispetto a qualsiasi altro paese. Secondo il Lowy Institute, un think tank australiano citato dalla britannica Bbc, la Cina nel 2019 ha superato gli Stati Uniti, con 276 ambasciate e altri uffici di rappresentanza a livello globale.
Francia, Giappone e Russia seguono. L’Italia è al decimo posto. Ma attenzione: l’Italia è al decimo posto anche in un’altra classifica: la tabella sui Pil globali stimati nel 2030. Fare politica senza guardare oltre il 26 gennaio 2020 (regionali in Emilia Romagna e Calabria) è non sapere che al primo posto nel mondo per Pil tra dieci anni ci sarà appunto la Cina, per il suo strapotere nell’Ai (Artificial Intelligence), nel quantum computing, in medicina e cura della salute, genetica e in molti altri campi. L’Italia che era in quinta posizione nel 2006, ora decima, arretra con le ali tarpate in eterno dalla disperata soluzione di crisi vecchie (Alitalia, Ilva e altri drammi) e per la totale mancanza di pianificazione industriale, sociale, scolastica.
Il cinismo della posizione che ho espresso è fondato sulla constatazione di un evidente declino e delle enormi difficoltà dell’Occidente, e dei valori democratici, in ere agitate in cui dominano i regimi autoritari e leader forti (e ignoranti) come Donald Trump. Circa la Cina, ho sostenuto che Xi Jinping, capo di una nazione comunista e capitalista di 1,4 miliardi di persone, non potrà tollerare la ribellione in atto a Hong Kong. Per Pechino sarà impossibile venga oltrepassata la “linea rossa” dell’indipendenza.
Ma – ecco il punto – il Partito Comunista Cinese non farà uso delle sue 260 bombe atomiche; troverà altri modi per imporre il pugno di ferro, aprendo e poi richiudendo: nessuno vuole un’altra Tienanmen. L’opinione pubblica, in Cina, ha solidarizzato con gli abitanti di Hong Kong, ma solo fino a quando questi ultimi hanno rispettato la “linea rossa”, cioè il teorema “un paese, due sistemi” concordato con gli inglesi al momento della “restituzione” della città-porto, destinato a scadere nel 2047.
Altro fronte aperto è la guerra commerciale, ma sappiamo che Pechino la vincerà entro il 2030 battendo gli Stati Uniti, senza tuttavia abdicare, in un paese così vasto e popolato, a forme obbligate di controllo e repressione della dissidenza. Tra parentesi: un milione di cinesi imprigionati nei campi su 1,4 miliardi di abitanti sono meno della percentuale di americani incarcerati, tanto per sottolineare che la “democratica” America è altrettanto repressiva. Negli Stati Uniti 2,3 milioni di persone sono dietro le sbarre, un tasso di 698 per 100mila abitanti (qualche anno fa gli Usa avevano circa il 25% dei 9,8 milioni di prigionieri nel mondo).
Insomma con le convinzioni ideologiche, direi quasi fideistiche, non si va da nessuna parte. La presunta nobiltà e ineluttabilità della forma politica fondata su democrazia e mercato vantata dall’Occidente a partire da antiche rivoluzioni (americana del 1776 e francese del 1789) rivela che sono oggi, purtroppo, principi inattuali e inadeguati ai fini della gestione di 7,7 miliardi di abitanti del pianeta. Non si possono mascherare idealismi con ipocrisie che il mondo non ha il lusso di sostenere.
Quindi, accusare il Movimento 5 Stelle di essere filo-cinese perché sarebbe “contro il mondo occidentale in tutto ciò che esso ha di peculiare: la società aperta, il primato della libertà individuale garantito dalla legge, il libero mercato, la democrazia rappresentativa”, come sostiene Panebianco, è falso. Su quei principi siamo tutti d’accordo, in linea di massima. Si tratta invece di piantarla di evangelizzare altre nazioni spacciando la propria come verità assoluta. Come può la Cina, a nome di 1,4 miliardi di persone, tollerare le ingerenze di Stati Uniti (due giorni fa il Congresso Usa e ieri il suprematista, nazionalista e sovranista sotto impeachment Trump) e anche, seppur con toni più sfumati, dell’Europa? Da che pulpito viene la predica?
La settimana prossima in Parlamento si dibatterà sulla questione di Hong Kong. Sarà un’occasione importate affinché i partiti – e il governo quadripartito di centrosinistra M5S-Pd-ItaliaViva-Leu – siano chiari e oggettivi sul futuro che l’Italia vuole dare alle nostre scelte di geopolitica. Vogliamo continuare a ridurre il tutto all’appartenenza di Roma allo schieramento occidentale e alla Nato, alla luce del fatto che sul nostro territorio sono installate ben 70 bombe atomiche americane? Se è così, non è davvero cambiato niente.