In primo grado erano stati condannati a sei anni per tentata violenza sessuale e morte come conseguenza di altro reato. Ma in appello il secondo reato è stato dichiarato prescritto. Martina Rossi, 20 anni, genovese, precipitò dal balcone di una camera di albergo a Palma di Maiorca il 3 agosto 2011. A processo ad Arezzo erano finiti Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, accusati di aver tentato di violentarla. Per sottrarsi allo stupro, questa la ricostruzione della procura, Martina precipitò dal balcone. In caso di una condanna anche in appello la pena per i due imputati si dovrebbe quantomeno dimezzare.
La stessa presidente della corte d’appello ha poi rinviato il processo al 20 settembre 2020 con possibile prosecuzione per il 5 ottobre. Per la difesa dei due imputati, Martina Rossi si sarebbe suicidata. Il rinvio all’anno prossimo è stato disposto proprio perché non c’era più urgenza di svolgere il processo per evitare l’estinzione di uno dei due reati contestati: se inizialmente sembrava che la prescrizione dovesse verificarsi il prossimo 9 dicembre, secondo la presidente della corte in realtà è già intervenuta il 19 febbraio scorso. È stato quindi ritenuto di dover dare la precedenza ad altri processi con detenuti. Rimane ora in piedi la contestazione di tentata violenza sessuale di gruppo.
Secondo la ricostruzione dell’accusa al processo di Arezzo, al ritorno dalla notte in discoteca la ragazza sarebbe salita in camera dei due giovani di Castiglion Fibocchi perché nella sua camera le amiche erano in compagnia degli altri due ragazzi della comitiva di aretini e avevano formato due coppie. Secondo il pm la giovane sarebbe stata oggetto di un tentativo di stupro, come proverebbe il fatto che i pantaloncini le erano stati sfilati e non furono mai ritrovati e come proverebbero i graffi al collo di Albertoni. Poi, sempre secondo il pm e i legali della famiglia Rossi, Martina avrebbe tentato una fuga disperata: vide il muretto sul balcone che separava la stanza dei due giovani da un’altra e lo considerò una via di fuga, ma in preda alla paura successiva all’aggressione e tradita dalla scarsa vista, poiché era miope e non aveva gli occhiali in quel momento, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto, quasi sulla verticale del muretto stesso.
Il muretto che separava le due camere, un divisorio di circa un metro di altezza e quaranta centimetri di larghezza, secondo i legali della difesa, Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, avvocati rispettivamente di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, sarebbe stata, invece, la prova del suicidio della giovane perché – questa la tesi sostenuta durante tutto il dibattimento – poteva essere scavalcato con facilità, e se Martina avesse voluto scappare avrebbe potuto farlo senza grosse difficoltà.
Le indagini della polizia spagnola avevano archiviato il caso come un suicidio. La procura di Genova aveva aperto un fascicolo, passato poi ad Arezzo per competenza territoriale. Tra le prove allegate anche le registrazioni nella questura con delle telecamere nascoste. I due giovani, in attesa di essere ascoltati come testimoni, erano soddisfatti che dall’autopsia non erano emersi “segni di violenza sessuale”.