La proposta del Pd per ricordare i deportati della cittadina in provincia di Vicenza nei lager nazisti è stata respinta dalla maggioranza. Ira del governatore: "Disponibili a offrire immobili e spazi"
Sono trascorsi quasi 75 anni dall’eccidio di Schio, massacro in carcere di 54 tra fascisti e detenuti comuni (anche 14 donne), avvenuto nella notte del 7 luglio 1945 da parte di un commando partigiano. Da allora, nonostante i tentativi di riconciliazione, le ferite della storia non si sono rimarginate. La dimostrazione più evidente è nel voto del consiglio comunale della popolosa città vicentina che ha respinto una mozione presentata dal Partito Democratico che chiedeva di posizionare pietre d’inciampo nei luoghi dove risiedevano i deportati scledensi morti nei lager. Un modo per non dimenticare. Ma il consiglio comunale, a maggioranza di centrodestra, ha detto di no. Nella motivazione e nella scelta delle parole – “una proposta divisiva” – si ritrovano le ombre di un passato con cui non si sono ancora fatti i conti. “Queste iniziative rischiano di portare di nuovo odio e divisioni a Schio. – ha dichiarato Alberto Bertoldo della lista di maggioranza Noi Cittadini -. Occupiamoci di Schio e degli scledensi e lasciamo che le vittime riposino in pace”. Forse il modo per far dormire in pace sarebbe quello di ricordare chi è morto nei campi di sterminio. Ma evidentemente il centrodestra si riferiva anche ai morti dell’eccidio. Infatti Renzo Sella, dello stesso gruppo, ha aggiunto: “Come possiamo pensare di ricordare solamente qualcuno, a discapito di altri? Non è forse questa un’altra forma di discriminazione? Temo che questa iniziativa venga strumentalizzata”. Ad entrambi ha replicato Leonardo Dalla Vecchia, capogruppo del Pd, che aveva avanzato la proposta: “Il ricordo è destinato a sfumare, la memoria invece rappresenta qualcosa di vivo, un bene da preservare“.
Il caso-Schio ha suscitato la reazione del governatore leghista Luca Zaia: “Ho sentito il presidente della Comunità Ebraica di Venezia, Paolo Gnignati, al quale ho espresso solidarietà e la disponibilità della Regione, offrendo gli immobili regionali e gli spazi attigui per l’apposizione di pietre d’inciampo laddove vi siano opportuni motivi e riferimenti storici. E’ imbarazzante anche solo sapere che si debba andare a un voto per decidere se mettere o no il ricordo di un deportato o di una vittima della Shoah e trovo assolutamente ingiustificata la posizione assunta a Schio”.
Nell’aula del consiglio comunale si è invece consumata una contrapposizione ideologica nettissima. E’ stato anche bocciato un emendamento di PrimaSchio che chiedeva le pietre d’inciampo anche per i morti dell’eccidio.
Dall’incubo di quella notte la città non sembra ancora essere uscita. Un reparto di partigiani della brigata garibaldina entrò nel carcere dopo aver fatto allontanare il custode e cominciò a sparare all’impazzata nelle celle. A comandarlo furono Igino Piva, nome di battaglia “Romero”, e Valentino Bortoloso, nome di battaglia “Teppa”, che poi erano fuggiti a Praga, grazie all’aiuto dell’organizzazione del Partito Comunista Italiano e di Massimo Caprara, segretario dell’allora ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti.
L’anniversario dell’eccidio è occasione per il ritrovo a Schio di gruppi di estrema destra e di nostalgici, anche se nel frattempo era stato avviato un percorso di riconciliazione che sembrava aver dato frutti. Nel 2005 l’amministrazione comunale coinvolse i familiari delle vittime e le organizzazioni partigiane che firmarono una “dichiarazione sui valori della concordia civica” che teneva conto del dolore dei parenti, ma riaffermava anche i principi di libertà e democrazia. Nel 2016 ci furono feroci polemiche quando venne assegnata dal ministero della Difesa a Bortoloso la medaglia d’oro al valor partigiano, poi revocata. Anna Vescovi, figlia di Giulio, il commissario prefettizio di Schio assassinato nel carcere, aveva poi incontrato proprio Bortoloso. “L’abbraccio è spontaneo, i dubbi sono fugati, le barriere crollano in un istante. C’è abbandono totale. E lacrime, tante lacrime, quelle non piante per tanto tempo” ha ricordato la donna in un libro. Nel 2017 resero pubblico il loro incontro e scelsero di testimoniare la riconciliazione davanti al vescovo di Vicenza. “Volevamo che altri potessero capire come si possa sempre andare oltre, come sia sempre possibile infrangere la barriera che separa gli uni dagli altri”.