Dopo la sentenza della Consulta il capo dell’Antimafia di Milano teme le false dissociazioni dei boss mafiosi condannati all’ergastolo. “Nei giorni scorsi è arrivata nel mio ufficio una lettera di un soggetto che sta espiando la pena per associazione mafiosa e che scriveva ‘ammetto tutti i fatti, ammetto la mia associazione alla ‘ndrangheta dalla quale mi dissocio, ho 4 figli e devo pensare a loro e l’organizzazione non potrà più contare su di mè. E io dico bene, ma mi chiedo anche sarà veritiera? O è una strumentalizzazione?'”, ha detto Alessandra Dolci, procuratore aggiunto della Direzione distrettuale antimafia di Milano, intervenendo a un convegno al palazzo di giustizia di via Freguglia sulla recente sentenza della Consulta.
Il 23 ottobre scorso, infatti, la Corte costituzionale ha stabilito che i boss mafiosi all’ergastolo per stragi e omicidi potranno ottenere permessi premio, anche se non collaborano con la giustizia. Dopo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, si è trattato è un altro colpo mortale all’ergastolo “ostativo”: la condanna a vita che impedisce la concessione di benefici ai detenuti per mafia, stragi e omicidi che si rifiutano di rompere i legami con le organizzazioni criminali raccontando tutto quello che sanno. Secondo Dolci la sentenza della Cedu, per il capo della Dda milanese, esprime “principi bellissimi, ma la realtà dei fatti è diversa” e solo chi lavora nel contrasto alla ‘ndrangheta conosce davvero i meccanismi di “questo anti-Stato e la forza dei legami di sangue”.
Se dalla Cedu arrivano principi, però, la Consulta ha invece dichiarato incostituzionale l’articolo 4 bis comma 1 dell’Ordinamento penitenziario “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata. Sempre che, ovviamente, il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo”.
“Dare un riconoscimento legale alla dissociazione” dalle mafie “è una finzione, non ci credo, non è possibile”, “ho timore di una riabilitazione virtuale” dei condannati per mafia e di una “strumentalizzazione”, ha detto Dolci, magistrato che spiegato di avere “un’esperienza ventennale” nel contrasto alla ‘ndrangheta. “Dovremo far fronte” alla decisione della Consulta, “che comunque credo avrà effetti meno dirompenti di quelli prospettati”, ma “dovremo attrezzarci e il giudizio” sulla rescissione dai legami mafiosi di chi chiederà i permessi premio “dovrà essere reale, effettivo, concreto, chiedo solo questo”. Con la sentenza della Consulta, in pratica, la pericolosità degli ergastolani ostativi non sarà più presunta dalla legge, ma andrà verificata, caso per caso, dai magistrati di sorveglianza, come avviene per tutti gli altri detenuti.
Il Fatto Quotidiano ha promosso una raccolta firme per chiedere alla politica di produrre una legge sani la situazione. Se la Consulta ha considerato incostituzionale l’articolo 4 bis dell’Ordinamento penitenziario, il legislatore deve adoperarsi subito per approvare una nuova norma che stabilisca parametri e principi fissi da seguire per concedere o negare i permessi agli ergastolani “ostativi”. Una legge che li sottragga alla discrezionalità dei semplici giudici di sorveglianza sul “percorso rieducativo” e “l’attualità della partecipazione all’associazione criminale”. In pratica serve una lege che impedisca a capimafia e agli altri responsabili di stragi di truffare lo Stato, i magistrati e i cittadini onesti ottenendo permessi e altri benefici senza meritarli. Una norma che il Parlamento dovrebbe approvare all’unanimità.