“Sempre ottimi rapporti con governo cinese, allo stesso tempo in Parlamento ci sono tante attività che si svolgono ogni giorno ed è giusto rispettarle. I nostri legami commerciali non possono assolutamente mettere in discussione il rispetto delle nostre istituzioni, del nostro parlamento e del nostro governo”. Poche parole che per Luigi Di Maio segnano – almeno formalmente – la fine dello scontro tra Italia e Cina innescato dai commenti dell’ambasciatore del portavoce dell’ambasciata di Pechino a Roma, che ha giudicato “irresponsabili” i “politici italiani che hanno fatto la videoconferenza” con Joshua Wong, tra i principali leader delle proteste a Hong Kong. Davanti ad alcuni parlamentari italiani il 23enne ha ricordato la repressione di Pechino e le complicità dell’Italia, raccomandandosi di “fare attenzione e di non affidarsi troppo al rapporto commerciale” con la Cina. E ha criticato Di Maio che “ha detto di non voler interferire con i fatti di altri Paesi, ma ha tralasciato le brutalità della polizia“. In un tweet l’ambasciatore cinese ha scritto che “Joshua Wong ha distorto la realtà, legittimato la violenza e chiesto l’ingerenza di forze straniere negli affari di Hong Kong. I politici italiani che hanno fatto la videoconferenza con lui hanno tenuto un comportamento irresponsabile”, ha proseguito facendo riferimento all’incontro in remoto avvenuto a Palazzo Madama il 28 novembre, a cui hanno partecipato Radicali, Fratelli d’Italia, Pd, Forza Italia e Lega. Solo dopo ore di pressing da parte della politica, la Farnesina è intervenuta sulle dichiarazioni dell’ambasciatore bollandole, riferivano fonti alle agenzie, “del tutto inaccettabili e totalmente irrispettose della sovranità del Parlamento italiano. Questo è stato rappresentato formalmente dal ministero degli Esteri all’ambasciatore cinese a Roma, cui è stato espresso forte disappunto per quella che è considerata una indebita ingerenza nella dialettica politica e parlamentare italiana”.

La complicità dell’Italia, le violenze in Cina: le parole di Wong ai parlamentari – L’attivista ha accusato l’Italia che, attraverso le sue aziende, fornisce i mezzi alla polizia di Hong Kong per portare avanti la repressione dei manifestanti che da mesi protestano contro le autorità di Pechino. In collegamento video con il Senato ha chiesto all’Italia di “dimostrare quanto tenga alla libertà” e di adottare “misure adeguate a riguardo”. E ha avvertito il ministro degli Esteri Luigi Di Maio di “stare attento” ai rapporti economici con la Cina, perché “non esistono pranzi gratis al mondo”. Il giovane attivista era stato invitato a partecipare di persona all’incontro organizzato da Fratelli d’Italia e Partito Radicale, ma le autorità di Hong Kong gli hanno negato l’autorizzazione a viaggiare in Europa. Il suo appello all’Italia non è stato meno forte per questo, così come le sue accuse. “Da cinque mesi viviamo la brutalità della polizia, che ormai usa armi da fuoco contro i manifestanti. Peraltro, ci sono anche aziende italiane che contribuiscono e forniscono loro mezzi, tra cui autovetture”, ha detto Wong. “Invito a prendere delle iniziative per quanto riguarda l’esportazione di armi antisommossa e i mezzi utilizzati dalla polizia a Hong Kong“, è stato l’appello dell’attivista ai parlamentari presenti all’incontro, esortando poi il governo italiano ad “adottare misure simili al provvedimento approvato dagli Stati Uniti, con una chiara richiesta da parte di Roma di fermare le violazioni dei diritti umani”.

In conferenza stampa, Wong ha raccontato che a Hong Kong c’è una vera e propria “crisi umanitaria”, e che “con l’esperienza e l’esempio di Hong Kong” davanti agli occhi, “anche l’Italia deve stare attenta in particolare al progetto Belt and Road Initiative, la Via della Seta. Non è altro che una strategia della Cina per influenzare i Paesi”. L’Unione europea, e in particolare l’Italia, “dovrebbero rivedere i loro legami economici con un regime così brutale come quello di Pechino“. Wong non ha risparmiato ancora una volta le sue critiche al titolare della Farnesina, ribadendo di essere rimasto “piuttosto deluso nel leggere le dichiarazioni indifferenti” del ministro sulle proteste. Un rammarico già espresso in occasione del suo intervento in video il 28 novembre all’incontro Hong Kong Democracy alla Fondazione Feltrinelli a Milano, durante il quale ha sottolineato che Di Maio “ha detto di non voler interferire con i fatti di altri Paesi, ma ha tralasciato le brutalità della polizia”.

In Senato Wong ha espresso “rammarico” anche per la posizione di papa Francesco. “Considerati gli interessi del Vaticano con la Cina, non sono tanto sorpreso dalle parole del Papa che si è espresso a favore di pace e giustizia sociale, ma sono lo stesso rammaricato”, ha detto. “Vedendo i giovani che vengono torturati e arrestati, nel suo ruolo di leader religioso non dovrebbe rimanere silente”, ha osservato l’attivista. “Spero che Francesco possa riconsiderare la sua posizione ed esprimere più riguardo verso i manifestanti e la violazione dei diritti umani”. Wong ha infine voluto ringraziare l’impegno dei deputati e senatori italiani a sostegno della lotta dei manifestanti, e ha sottolineato che seguirà con attenzione i provvedimenti che saranno presi dal Parlamento. “La mia richiesta umile è che l’Ue e l’Italia non chiudano gli occhi dinanzi alla crisi umanitaria di Hong Kong“.

Chi è Wong – Capelli corti con la frangetta, gli occhiali rettangolari dalla montatura nera, Joshua Wong dimostra meno dei suoi 23 anni, compiuti il mese scorso. Ma dietro il viso da ragazzino perbene, ormai diventato un’icona della lotta per la democrazia a Hong Kong, si cela una volontà di ferro. E malgrado la giovane età è ormai un veterano, dato che ha iniziato a manifestare a 13 anni e a 15 aveva già creato un movimento politico.

Cresciuto in una famiglia di fede luterana della classe media, con i genitori Grace e Roger attivisti per la democrazia, Joshua Wong ha fatto il suo debutto in politica a 13 anni partecipando alle proteste contro un collegamento ferroviario ad alta velocità fra Hong Kong e la terraferma cinese. A 15 anni ha creato il movimento Scholarism contro l’introduzione nelle scuole corsi di educazione patriottica (amore per la Cina e il partito comunista), costringendo il governo di Hong Kong a ritirare il progetto dopo che una folla di 120mila manifestanti aveva bloccato il parlamento per dieci giorni.

A 17 anni, subito dopo la maturità al liceo privato anglicano United Christian college, Joshua Wong è diventato uno dei protagonisti della pacifica protesta del 2014, il cui simbolo sono diventati gli ombrelli con i quali i manifestanti di difendevano dai lacrimogeni. I suoi discorsi e appelli alla disobbedienza civile galvanizzavano la folla di manifestanti che per 79 giorni hanno bloccato Hong Kong, in una protesta che però non riuscì a impedire il controllo di Pechino sui nomi dei candidati alle elezioni di Hong Kong.

Fu allora che Joshua diventò un’icona, un novello Davide contro il Golia cinese. Il suo volto apparve sulla copertina di Time e la sua storia fu narrata nel 2017 dal documentario di Netflix: “Teenager vs Superpower”. Nel 2016, assieme agli studenti Nathan Law e Agnes Chow, ha fondato il partito Demosisto che chiede più autodeterminazione per Hong Kong, ma non l’indipendenza che per Pechino rappresenta una linea rossa invalicabile.

Accusato dalla Cina di essere manovrato dagli americani, il giovane Wong ha pagato di persona il suo attivismo politico, ed è stato arrestato più volte dalla polizia. Nel 2017 e nel 2019 ha ricevuto due separate condanne detentive per il suo coinvolgimento nella protesta degli ombrelli. Nel primo caso, dopo un breve periodo in carcere, la sua pena è stata commutata in obbligo di servizi sociali. Nel maggio 2019 è stato condannato ad altri due mesi di carcere, ma è stato poi scarcerato a metà giugno.

Tornato libero, Wong è tornato ad essere uno dei volti della protesta democratica in corso da mesi a Hong Kong. A settembre si è recato al Congresso degli Stati Uniti, dove è stato ricevuto dalla speaker Nancy Pelosi. Le autorità di Hong Kong gli hanno successivamente vietato di candidarsi alle elezioni locali di domenica scorsa e gli hanno negato la possibilità di recarsi in Italia. Ma Wong non si è arreso e ha parlato ieri sera via Skype alla Fondazione Feltrinelli a Milano e oggi in una conferenza stampa al Senato.

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