L'ex presidente della fondazione finita sotto inchiesta (lui è indagato per finanziamento illecito ai partiti e traffico di influenze) ha diramato una nota ufficiale per smentire alcune indiscrezioni. Nel frattempo emergono altri dettagli sul lavoro degli inquirenti
La difesa di Alberto Bianchi, avvocato ed ex presidente della fondazione Open, è arrivata con una nota ufficiale. Un comunicato in cui il legale, indagato per traffico di influenze e finanziamento illecito nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sui finanziamenti alla fondazione ritenuta la cassaforte del Giglio Magico, ha cercato di chiarire alcuni aspetti dell’inchiesta e rispedire al mittente l’accusa di poca trasparenza nella gestione di Open. In tal senso, il primo pensiero di Bianchi è stato quello di garantire che non esistono archivi segreti con i nomi dei finanziatori della fondazione attiva dal 2012 al 2018. “Tutti i contributi sono stati effettuati su un unico conto corrente bancario, intestato ad Open, ne era conoscibile e tracciata la provenienza, la data e l’importo” ha assicurato Bianchi, che poi ha sottolineato che “non esistono elenchi con nomi diversi da quelli che hanno fatto bonifici bancari” e che “non esistono carte di credito intestate a parlamentari“.
Carte di credito e bancomat, tuttavia, c’erano eccome. E Bianchi lo ha confermato: “Erano intestati alla Fondazione e a disposizione di controllati soggetti, tra cui un parlamentare, che in oltre sei anni non ha mai usato la carta di credito e ha usato il bancomat per piccole spese. Tutto ovviamente vagliato, come ogni altra spesa, anche dal contabile e dal revisore della Fondazione”. Il parlamentare in questione, secondo quanto scritto dal Fatto Quotidiano nei giorni scorsi, è l’ex ministro dello Sport Luca Lotti, che però dopo la pubblicazione della notizia ha assicurato di non aver mai utilizzato il bancomat della Fondazione Open. Bianchi, poi, ha spiegato il motivo per cui ha deciso di scrivere la nota: “Avrei voluto far parlare gli strumenti processuali – ha detto – ma alcune cose lette in questi giorni mi spingono a intervenire per non alimentare la disinformazione in atto”.
Tra queste “cose lette”, ad esempio, ci sono i soldi da lui girati alla Fondazione Open: “Dell’importo netto di consulenze professionali, scritte o verbali come uso di ogni avvocato – ha sottolineato – sono libero di disporre nel modo che credo, comprese donazioni significative ad un movimento in cui credo e ad una Fondazione di cui ero amministratore illimitatamente responsabile con tutto il mio patrimonio personale“. “È completamente falso – ha aggiunto l’avvocato – che Open mi abbia restituito contributi che avevo versato a titolo di donazione, come dimostrerò documentalmente al momento opportuno“. Nel suo elenco delle falsità, poi, Bianchi ha inserito anche le ipotesi di reato per cui è indagato: “È completamente falso che io sia ad oggi indagato per riciclaggio o autoriciclaggio. Sono stato oggetto di perquisizioni e sequestri significativamente estesi, che si sono spinti indietro fino al 2007. Segnalo che l’ipotesi di reato a mio carico è riferita all’anno 2016″. Ipotesi di reato che, vale la pena ricordarlo, sono traffico di influenze e finanziamento illecito ai partiti.
Proprio a quest’ultimo punto, poi, è dedicata la chiusura della nota, con alcune considerazioni personali dell’ex presidente della Fondazione: “Vedo che il presupposto da cui partono i pm è che Open sia da equiparare a un partito politico – ha scritto Bianchi – Constato però che c’è voluta una legge del 2019 (c.d. spazzacorrotti), quando Open era già chiusa, per applicare alle Fondazioni le regole, anche penali, che valevano per i partiti. Forse allora – è il ragionamento del legale – l’equiparazione non era possibile prima del 2019. Non è mia abitudine ma mi troverò costretto a ricorrere a querele laddove false informazioni a discredito della mia persona vengano ancora diffuse“.
Bianchi, inoltre, ha annunciato che presenterà ricorso al tribunale del Riesame, iniziativa identica a quella di Carrai. L’ex presidente Open, assistito dall’avvocato Nino D’Avirro, farà ricorso contro il sequestro di una grande quantità di documenti fatto il 26 novembre nel suo studio. In particolare, la guardia di finanza ha sequestrato molto materiale appartenente all’archivio amministrativo e contabile di Open che si trova nello studio di Bianchi, che è stato anche sede della fondazione. Nel frattempo, emergono altri dettagli dell’inchiesta condotta dalla Procura di Firenze. Il 26 novembre, ad esempio, la guardia di finanza ha perquisito lo studio di un commercialista a Firenze perché vi troverebbero sede legale ben cinque società, di diritto italiano, collegate all’imprenditore Marco Carrai, indagato nella stessa inchiesta Open. Secondo l’agenzia di stampa Ansa, che cita fonti vicine all’inchiesta, la documentazione relativa a queste società è stata sequestrata sempre per fare luce sul ruolo dell’imprenditore, accusato di finanziamento illecito ai partiti e considerato dagli inquirenti figura di collegamento tra la fondazione e i suoi finanziatori.
noltre, risulta che alcuni soci delle compagini che hanno sede presso lo studio commerciale perquisito (il cui titolare non è indagato) risultano anche soci di due società di Lussemburgo riconducibili allo stesso Carrai. Finora, per quanto riguarda le società lussemburghesi riferibili a Carrai si era parlato solo della Wadi Ventures. Nei giorni scorsi, Carrai è stato perquisito nel rispetto delle tutele previste per i diplomatici, in quanto console onorario di Israele per Lombardia, Toscana ed Emilia Romagna. Come si legge nel decreto di perquisizione, l’imprenditore poi non ha utilizzato l’immunità diplomatica prevista della convenzione di Vienna del 1961, permettendo l’accesso dei finanzieri a tutti i locali indicati nel decreto. In base a quanto stabilito dalla convenzione gli uffici adibiti ad attività consolare non possono essere perquisiti poiché considerati extraterritoriali.