La gratitudine: “Quando ci vedono, ci fermano per strada e ci ringraziano: ci offrono da mangiare, ci danno i dolci, ci vogliono fare regali”. Il trauma: “Hanno paura perché le scosse continuano”. La consapevolezza: “Ci ringraziano perché si rendono conto che non sono organizzati”. Si rendono conto che la fatica lenta e dolorosa per tornare alla normalità del giorno prima – dopo che tutto è sconvolto – passa anche dalle mani di chi parla, grandi come il cuore di pompiere, di tutti i pompieri. Si chiama Massimo Marconcini, è di Livorno e ha 51 anni e un passato da atleta di canottaggio, è stato anche olimpionico a Barcellona. E’ uno dei 175 vigili del fuoco italiani che hanno messo al servizio testa lucida e anima generosa per risollevare l’Albania in ginocchio, colpita al cuore dal terremoto. A Durazzo i pompieri italiani si sono ritrovati davanti le scene identiche a tante tragedie che hanno fatto piangere l’Italia: L’Aquila, Amatrice, l’Umbria e le Marche, Ischia e Rigopiano. C’era anche Massimo, tante di quelle volte. Eppure ieri ha avuto paura anche lui. “Era 5.2. Ero in mezzo a un palazzo. Poi vabbè, è durata poco” risponde a ilfattoquotidiano.it sfuggendo al ricordo fresco di quei secondi di apprensione. Al terremoto non ci si abitua, non finisce con la fine della scossa, quell’ansia non si rimuove con le macerie, non si scuote via con la polvere. L’Albania, così cresciuto, così pronto ad essere uno dei “nostri”, scopre di essere soprattutto fragile come noi. Un Paese giovane che l’ultimo terremoto nemmeno se lo ricorda più: “Prima le città non erano così estese. E c’era anche meno comunicazione”. Ora, certo, “è un Paese che è cresciuto tanto – dice Massimo, con rispetto – ma non sono ancora organizzati per queste cose”.
Per questo in Albania sono partiti nel giro di poche ore in particolare i team Usar: urban search and rescue, cioè ricerca e recupero urbano. Sono squadre specializzate formate da esperti in vari settori: gli esperti strutturisti, le unità cinofile, gli addetti alle attrezzature tecnologiche, quelli alla penetrazione tra le macerie, il supporto cosiddetto “Tas”, topografia applicata al soccorso. Quest’ultima mansione è quella di Massimo: “E’ più organizzativa – si schermisce l’ex campione – Facciamo rilevazione dei danni, vediamo se ci sono zone compromesse, geolocalizziamo tutte le informazioni, così i dati rimangono al centro di coordinamento per organizzare i soccorsi e altro”. Poi c’è tutto il resto del lavoro più operativo: “Vederli lavorare è davvero una grande cosa: sono organizzatissimi e addestratissimi e noi gli diamo una mano”. Tra questi c’è anche Luca Bacci, anche lui è livornese, opera con i cani per la ricerca dei dispersi: il primo terremoto su cui è intervenuto è stato quello in Irpinia, nel 1980. “Spero sempre che sia l’ultimo terremoto” ha detto a Repubblica.it. Il prossimo anno andrà in pensione.
Sono stati loro, i vigili del fuoco italiani, a estrarre i corpi senza vita di una mamma e dei suoi tre figli: erano sepolti dai calcinacci della loro villetta a tre piani. I morti così salgono a 47. Tra loro c’è anche la fidanzata del figlio del capo del governo, Edi Rama. I vigili del fuoco non finiscono di scavare, studio e fatica: manca ancora un disperso, l’ultimo.