La Corte d’assise di Bergamo ha autorizzato la difesa di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, a esaminare tutti i reperti d’indagine, i vestiti che indossava la 13enne di Brembate scomparsa il 26 novembre 2010 – tra cui slip, leggins, scarpe, giubbotto – e i campioni sulla traccia di Dna. Lo svela l’Adnkronos, spiegando che Bossetti ha dato incarico ai suoi legali di lavorare alla richiesta di revisione del processo.
Nell’istanza presentata dai difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini si sottolinea come “ad oggi alla difesa non è stato permesso alcun accesso ai reperti”, a partire dai campioni di Dna “ancora disponibili e conservati presso l’ospedale San Raffaele di Milano”. Elementi tornati alla ribalta di recente. Al centro dell’attività difensiva c’è ancora una volta la traccia genetica, da sempre cuore del dibattimento. Una traccia mista, forse sangue, di Yara e Ignoto 1 in cui il Dna nucleare combacia con quello di Bossetti, ma non il Dna mitocondriale (indica la linea materna). L’assenza del Dna mitocondriale di Bossetti non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense.
“Quel Dna non è suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”, sostengono comunque i legali. La decisione di oggi della corte consente alla difesa di avere accesso per la prima volta agli elementi della scena del crimine, tra cui i dvd contenenti le immagini fotografiche dei reperti effettuate dal Ris, ma soprattutto di analizzare il Dna e farlo con le nuove tecnologie. Con l’impiego di nuovi metodi “è fondamentalmente possibile – si legge nell’istanza presentata dai difensori e in possesso dell’Adnkronos – effettuare ulteriori prelievi, da cui non solo verificare quanto già emerso, ma ricavare altresì ulteriori informazioni potenzialmente utili anche ai fini investigativi e di ricerca di caratteristiche peculiari come l’originale ancestrale e il fenotipo dei Dna ignoti”.
Nelle motivazioni della sentenza per il muratore di Mapello, la Cassazione ha invece scritto che non ci fu complotto e non c’è dubbio che il Dna sugli indumenti di Yara Gambirasio appartenesse a Bossetti: “Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenza identificativa tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulla mutandine della vittima, e quello dell’imputato“. L’evidenza scientifica, sottolineano i giudici della Cassazione, ha “valore di prova piena”. In 155 pagine risponde ai venti motivi di ricorso della difesa, che sollevava diverse obiezioni, contestando la prova del Dna, la ‘catena di custodia’, i kit utilizzati. La Cassazione biasima i “reiterati tentativi di mistificazione degli elementi di fatto” ed evidenzia: “La probabilità di individuare un altro soggetto con lo stesso profilo genotipico” equivale a “un soggetto ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui. I giudici di merito – si legge nella sentenza – hanno correttamente affermato che il profilo genetico è stato confermato da ben 24 marcatori”, mentre le linee guida scientifiche individuano un soggetto “con l’identità di soli 15 marcatori”.
La difesa chiederà di fare i nuovi esami con un incidente probatorio, quindi alla presenza dei consulenti di tutte le parti, con l’obiettivo appunto di chiedere la riapertura del caso di Yara, colpita più volte e trovata morta il 26 febbraio 2011 in un campo di Chignolo d’Isola, per cui Bossetti sta scontando l’ergastolo nel carcere milanese di Bollate. “Sono molto soddisfatto, credo che sia il primo passo verso un percorso che porta alla revisione del processo e all’assoluzione di Massimo Bossetti. Per la prima volta c’è un atto con cui la corte d’Assise di Bergamo ci autorizza ad analizzare reperti e Dna. E una strada ancora decisamente lunga, ma è importante aver invertito la rotta”, commenta Claudio Salvagni all’Adnkronos. “Non ho ancora informato Massimo di questa svolta, andrò domani in carcere a Bollate. Di tutti gli elementi a cui per la prima volta c’è stato consentito l’accesso sono convinto che l’elemento centrale resta il Dna: è quello che ha portato dietro le sbarre Massimo e sarà quello che lo tirerà fuori”, sostiene Salvagni.