L'impianto di proprietà della russa Rusal era fermo da cinque anni e interessa 1.416 lavoratori tra assunti e indotto. Ma le associazioni temono per l'ampliamento del bacino dei fanghi rossi, scarti di lavorazione della bauxite altamente inquinanti
L’Eurallumina può ripartire. Dopo cinque anni di attesa, l’assessorato regionale all’Ambiente ha rilasciato parere positivo sulla Via, la Valutazione d’impatto ambientale che sblocca definitivamente il processo autorizzativo per il riavvio della produzione di allumina nella fabbrica del Sulcis Iglesiente di proprietà della multinazionale russa Rusal. La delibera che scioglie i nodi della vertenza sarà inserita all’ordine del giorno della Giunta entro la prossima settimana. Poi ci vorrà l’ autorizzazione integrata ambientale in capo alla Provincia, ma l’iter sembra ormai in discesa: già dal mese di gennaio potranno partire le azioni di revamping dell’impianto, annuncia la Regione, mentre tra 25 mesi è prevista la ripresa effettiva delle produzioni in Sardegna.
Si mostra soddisfatto l’assessore all’Ambiente, Gianni Lampis (FdI), che rivendica di aver risolto in soli sette mesi i problemi che avevano impedito la conclusione del procedimento lo scorso febbraio: la giunta Pigliaru (centro-sinistra) era arrivata vicinissima alla soluzione della vertenza, ma tutto si era bloccato per la mancanza della Vis, la Valutazione d’Incidenza Sanitaria (ora presente).
Esultano le tute verdi dello stabilimento metallurgico, dopo anni di mobilitazioni e di lotta per la difesa dei posti di lavoro. Molto meno entusiasti sono gli ambientalisti, preoccupati per il rinvio sine die delle bonifiche e per l’ampliamento del bacino dei fanghi rossi, già previsto nel piano di rilancio dell’azienda e finito al centro di un processo per disastro ambientale che però rischia di andare in prescrizione alla fine del 2020.
I fanghi rossi, ovvero gli scarti di lavorazione della bauxite da cui si produce l’allumina, altro non sono che un cumulo di veleni altamente tossici che in trent’anni, quantifica Legambiente, sono arrivati a coprire una superficie di 159 ettari con oltre 40 milioni di tonnellate depositate strato su strato a 26 metri sul livello del mare. Con l’ampliamento si arriverebbe a 60 milioni di tonnellate, pari a 30 milioni di metri cubi e l’altezza degli scarti raggiungerebbe i 28 metri sul livello del mare. Ora però tutti i dubbi sugli aspetti paesaggistici e sui possibili risvolti in ambito di sicurezza e di inquinamento sembrano superati: “Non vi è alcun pericolo – ha detto Lampis – l’istruttoria prevede una serie di prescrizioni che verranno inserite nella delibera di giunta. In Sardegna – ha sottolineato – si può continuare a fare industria, ma si farà nel rispetto della tutela ambientale che rappresenta per noi la priorità”.
La partita di Eurallumina vale tanto, per i sindacati e per la politica: 1.416 buste paga (suddivise fra 342 occupati diretti a tempo indeterminato, 130 a tempo determinato e ed il restante nell’indotto) sono una manna dal cielo in un territorio che conta 38mila disoccupati e oltre 2mila cassintegrati. La casa madre russa ha messo in campo oltre 160 milioni di euro per un piano di rilancio che prevedeva inizialmente la costruzione di una nuova centrale a carbone per produrre energia termica ed elettrica, vero cuore pulsante della fabbrica. Un progetto modificato in corsa dopo lo stop europeo alle fonti fossili: il carbone è stato quindi sostituito dal vapore, attraverso un tubo che dovrebbe collegare l’attigua centrale termoelettrica Enel agli impianti di lavorazione dell’Eurallumina.
Nel progetto c’è poi l’ampliamento del bacino dei fanghi rossi, al centro delle denunce delle associazioni ambientaliste che non sembrano rassicurate dalle parole dell’assessore Lampis. “Già nel 2014 la Soprintendenza ai beni ambientali di Cagliari aveva deciso di dire no al progetto, considerato troppo impattante e sostanzialmente irreversibile per il territorio”, dice Stefano Deliperi del Grig, Gruppo d’Intervento Giuridico. “Sempre in quell’anno la relazione Arpas di monitoraggio ambientale indicava per le aree dell’Eurallumina sistematici superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di metalli pesanti (ferro, manganese, piombo), di arsenico, fluoruri e alluminio. Nel 2016 le analisi predisposte dal professor Mario Manassero per la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari avevano dipinto un quadro allarmante degli inquinamenti delle falde idriche e delle aree attigue al bacino fanghi rossi, alla base del processo per disastro ambientale attualmente in corso”.
Le associazioni ambientaliste sono preoccupate anche per le bonifiche, sostanzialmente accantonate dopo l’accordo del marzo 2018 fra il Ministero dello Sviluppo Economico e l’azienda Rusal, che prevede un contributo complessivo di 83 milioni di euro, di cui fino a 16 a fondo perduto, a fronte dell’impegno finanziario dell’impresa da circa 160 milioni di euro.
“L’intero territorio comunale di Portoscuso rientra nel sito di interesse nazionale (Sin) per le bonifiche ambientali del Sulcis-Iglesiente-Guspinese”, prosegue Deliperi. “I Sin rappresentano delle aree contaminate molto estese classificate fra le più pericolose dallo Stato. Necessitano di interventi di bonifica ambientale del suolo, del sottosuolo e delle acque superficiali e sotterranee per evitare danni ambientali e sanitari. In queste aree è fondamentale che i carichi inquinanti diminuiscano anziché aumentare. Con il via al rilancio dell’Eurallumina accadrà esattamente il contrario”. Con l’arrivo della delibera in Aula la prossima settimana si capirà meglio in che modo le prescrizioni iscritte nella procedura di Via potranno garantire la coesistenza complessa fra lavoro e tutela dell’ambiente e della salute.