“Ci sentiamo feriti come cittadini, come imprenditori e come azionisti. Come famiglia Benetton ci riteniamo parte lesa“, scrive Luciano Benetton. Leggendo queste parole provo un senso di sconcerto. E di rabbia. Parlo da ligure che ha percorso il ponte Morandi poche ore prima del crollo. Parlo da cronista che pochi minuti dopo la tragedia è arrivato sul posto e ha visto cose che non dimenticherà mai. Non le voglio ricordare qui per rispetto delle vittime.
Benetton si dice parte lesa, ed è davvero difficile non provare sconcerto pensando ai miliardi finiti nelle casse delle società che hanno gestito Autostrade. Nella migliore delle ipotesi, signor Benetton, eravate distratti. E i manager su cui lei oggi scarica le colpe li avete scelti e premiati voi azionisti.
Signor Benetton, verrebbe da provare quasi pena per il suo messaggio. Eravate una dinastia vincente, simbolo del made in Italy che aveva conquistato il mondo. E adesso rischiate di essere ricordati come persone che si sono arricchite mentre i viadotti su cui Autostrade lasciava passare milioni di persone andavano a pezzi. Francamente è difficile crederle. È difficile non provare rabbia.
Ma se proprio vuole che le crediamo, signor Benetton, non se la può cavare con quattro righe di una lettera. Se volete meritare fiducia, allora voi azionisti impiegate il tesoro accumulato grazie alla concessione autostradale per rimettere in sesto i viadotti. Senza chiedere niente in cambio, senza sperare di conservare la concessione. Fatelo e basta, per salvare il vostro nome e dimostrare che non meritate la nostra indignazione.
“Io non sarei tranquillo a far passare mio figlio su questi viadotti”, mi ha detto un tecnico che stava ispezionando un ponte gestito da Autostrade. Invece i miei figli, insieme con decine di milioni di automobilisti, ci sono passati per anni. E sono costretti a passarci ancora. Mentre voi avete accumulato una fortuna con la concessione. Se volete tenervi il denaro, almeno lasciateci la rabbia.