Giustizia & Impunità

Giulio Lolli, l’imprenditore pirata consegnato dalla Libia all’Italia: è indagato per terrorismo e traffico di armi

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Giulio Lolli, l’imprenditore pirata consegnato dalla Libia all’Italia: è indagato per terrorismo e traffico di armi

Giulio Lolli, l’imprenditore pirata consegnato dalla Libia all’Italia: è indagato per terrorismo e traffico di armi

Arrestato a Tripoli due anni fa, era già considerato latitante per la giustizia italiana da 9 anni; da quando cioè il sostituto procuratore di Rimini Davide Ercolani, lo aveva indagato per associazione per delinquere, truffa, falso e appropriazione indebita

Si faceva chiamare Capitan Karim e in Libia era stato condannato all’ergastolo per terrorismo. Ma l’imprenditore bolognese, Giulio Lolli, deve rispondere anche in Italia di reati gravissimi. Arrestato a Tripoli due anni fa, era già considerato latitante per la giustizia italiana da 9 anni; da quando cioè il sostituto procuratore di Rimini Davide Ercolani, lo aveva indagato per associazione per delinquere, truffa, falso e appropriazione indebita. Soprannominato anche “il pirata” per una rocambolesca fuga a bordo di uno yacht verso le coste del Nordafrica, è stato consegnato al Ros dei Carabinieri. Lolli è indagato per terrorismo internazionale e traffico d’armi. Secondo l’accusa è stato tra i comandanti del cartello islamista denominato Majlis Shura Thuwar Benghazi come “comandante delle forze rivoluzionarie della marina”.
Majlis Shura Thuwar Benghazi, che nel 2017 aveva la sua base a Misurata, viene considerata una formazione jihadista controllata dall’organizzazione terrorista Ansar Al Sharia (affiliata ad Al Qaeda, sino al suo definitivo scioglimento avvenuto a novembre 2017), molto attiva nel 2017 nella città di Bengasi. Proprio da Misurata, secondo gli inquirenti, Lolli si occupava di garantire alle milizie di Majlis Shura Thuwar Benghazi a Bengasi i rifornimenti di armi; approvvigionamenti che, via mare (non essendo sicuro il trasporto via terra), dovevano giungere da Misurata. Le indagini su Lolli sono scaturite da da due controlli effettuati in acque internazionali, tra maggio e giugno 2017, su una imbarcazione al largo della Libia da parte del personale a bordo di navi operanti nell’ambito della missione militare europea EunaforMed – “Operazione Sophia”.
In quelle due occasioni erano state sequestrate armi da guerra, inclusi lanciarazzi e mine anticarro. Le indagini hanno permesso di accertare che quella nave, carica di armi, era sino al suo trasferimento in Libia ormeggiata presso il porto turistico di Rimini originariamente uno yacht registrato in Italia sotto il nome di “Mephisto” poi ridenominato “El Mukhtar” all’atto della sua militarizzazione. Lolli aveva effettuato analoga operazione in precedenza con un’altra imbarcazione, anche questa proveniente dall’Italia, la “Leon”, ridenominata “Buka El Areibi”. Secondo le indagini Lolli e i suoi complici avevano messo a disposizione la propria esperienza marittima ed almeno due mezzi navali fatti venire dall’Italia, nella formazione e organizzazione delle truppe del Majlis Shura Thuwar Benghazi.

Lolli era ricercato anche dalla procura di Rimini che aveva emesso due mandati di cattura internazionale e una richiesta di estradizione. La sua unica condanna italiana è un patteggiamento a 4 anni e quattro mesi a Bologna per la corruzione di finanzieri. Ma quando la sentenza venne pronunciata, Lolli era già scappato lasciando dietro di sé un buco milionario. Attraverso un sito web personale, raccontava la sua fuga e la ribellione al regime di Gheddafi contribuendo a rafforzare la sua aura da “ultimo avventuriero”. In Libia si faceva fotografare in giacca mimetica, basco militare ben calzato, viso segnato da combattente e con in mano la bandiera libica, al timone di uno yacht o su un fuoristrada nel deserto.

La giustizia italiana riuscì a fermarlo nel 2011 a Tripoli all’uscita di un hotel di lusso. Allora furono servizi segreti, Interpol e accordi in vigore con il colonnello Gheddafi a far scattare le manette. Ma quando la Corte Suprema stava per dar corso alle richieste di consegna, finì per essere liberato dai ribelli, al fianco dei quali Lolli combatté “la battaglia decisiva di Bab Al Jazia contro il regime di Gheddafi”, come raccontava nel suo sito. Ora si trova nel carcere di Regina Coeli.
“Fisicamente mi dicono che Lolli stia bene ed è in carcere a Roma. Nutro invece un certo grado di perplessità per quanto riguarda le nuove accuse di traffico d’armi e terrorismo dell’ordinanza di custodia cautelare del gip di Roma” dice l’avvocato Antonio Petroncini, difensore di Lolli. “Sto attendendo la notifica dell’ordinanza – ha aggiunto il legale – Dalle notizie apprese francamente mi sfugge il collegamento tra il mio assistito e le due imbarcazioni che secondo le accuse sarebbero state usate per trasportare armi. Perché comunque bisogna pensare che Lolli prima di andare in Libia ha passato del tempo in Tunisia, poi a Tripoli dove era stato arrestato una prima volta durante il regime di Gheddafi e poi liberato durante la rivoluzione. Non si capisce come quelle due barche fossero ancora, a distanza di tempo, nella disponibilità di Lolli”. Tra le ipotesi è che le due imbarcazioni potrebbero essere state sottratte o cedute a terzi molte volte negli anni. “Ci sono troppi riferimenti alla sentenza libica nell’ordinanza del gip – ha quindi aggiunto Petroncini – aspetto di capire cosa le indagini italiane abbiano effettivamente appurato e dove è detenuto attualmente il mio assistito“. “Sembra scontato quindi il ricorso al Tribunale della Libertà e magari il trasferimento in un istituto di detenzione a Bologna”, dove Lolli ha patteggiato 5 anni di reclusione (provvedimento definitivo da espiare in carcere) per la bancarotta di Rimini Yacht. Ancora in piedi invece i processi davanti al Tribunale di Rimini sospesi per la detenzione all’estero.
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