Ma non solo: da poco più di due anni possono donare i loro organi dopo la morte. L’Italia è l’unico paese dell’Unione europea ad aver avviato formalmente un programma di donazione da persone sieropositive decedute
Mentre la ricerca continua senza sosta e il 2019 ha registrato il secondo caso di guarigione al mondo dopo un trapianto di midollo c’è un dato che può far comprendere come con l’Hiv si possa a vivere più lungo e in qualche modo come altri pazienti. Con il passare degli anni aumenta per i sieropositivi il rischio di soffrire di un’insufficienza d’organo, e a quel punto l’unica via d’uscita è il trapianto. Una soluzione per la quale in passato l’infezione da Hiv era considerata una controindicazione assoluta. Ma ora non è più così, e non solo i pazienti sieropositivi accedono al trapianto ma, da poco più di due anni, possono donare i loro organi dopo la morte. L’Italia è l’unico paese dell’Unione europea ad aver avviato formalmente un programma di donazione da persone sieropositive decedute.
I dati sono più che incoraggianti come emerge da un’analisi del Centro nazionale trapianti in occasione della Giornata mondiale contro l’Aids, che si celebra domani. Nel 2019, 34 pazienti sieropositivi hanno ricevuto un trapianto: in 19 casi si è trattato di un nuovo fegato, in 13 di un rene e in 2 di polmoni. Mentre dal 2002 ad oggi sono complessivamente 485 i trapianti effettuati su persone con Hiv: 218 fegati, 143 reni, 9 cuori, 4 polmoni, 1 pancreas, 6 trapianti combinati rene-fegato e 5 rene-pancreas. Inoltre aumentano le donazioni da sieropositivi ed è assicurata la parità di accesso alle cure. “Negli ultimi decenni lo sviluppo delle terapie antiretrovirali ha aumentato considerevolmente la sopravvivenza di chi convive con l’infezione da Hiv, e oggi molti soggetti sieropositivi hanno un’aspettativa di vita paragonabile a quella del resto della popolazione”, spiega il direttore del Centro nazionale trapianti, Massimo Cardillo.
Dal 2017 è attivo un programma sperimentale che permette il trapianto tra donatori e riceventi con Hiv. Dopo una fase pilota avviata dal Dipartimento trapianti dell’Ospedale di Varese diretto dal professor Paolo Grossi, il protocollo è stato esteso a livello nazionale con un decreto del ministro della Salute che l’8 marzo 2018 ha abrogato il divieto di prelievo di organi solidi da donatori Hiv positivi deceduti. Sette i centri trapianto finora coinvolti: Varese, Milano Niguarda, Modena, Genova, Ancona, Roma San Camillo e Palermo Ismett.
“Il programma sperimentale è vantaggioso non solo per le persone sieropositive ma anche per tutti gli altri pazienti in attesa di trapianto”, conferma Cardillo. “Una maggiore disponibilità di organi riservati ai pazienti con Hiv aumenta le chance – sottolinea – per i sieronegativi, perché le due categorie di malati non sono più in concorrenza per lo stesso organo e la lista d’attesa scorre più velocemente per tutti. Ma soprattutto il programma consente di garantire l’accesso a organi di qualità e senza rischi aggiuntivi a persone che per molto tempo hanno visto precludersi la terapia del trapianto sulla base di valutazioni oggi del tutto superate dalle evidenze scientifiche“