È nato prima l’uovo o la gallina? Applicato al Napoli: è nata prima la crisi in campo o quella nello spogliatoio? È difficile commentare il disastroso campionato degli azzurri senza pensare al caos che ha travolto squadra e società nelle ultime settimane: il ritiro forzato, l’ammutinamento dei calciatori, le carte bollate di De Laurentiis e le multe notificate a mezza rosa. In queste condizioni i risultati negativi sono ovvi. Eppure si rischia di guardare il dito e non la luna: il Napoli di Ancelotti è imploso prima da un punto di vista tattico, solo dopo psicologico.
Con l’1-2 in casa ieri contro il Bologna la squadra di Ancelotti è scivolata al settimo posto in classifica, distante ormai anni luce dalla corsa scudetto a cui avrebbe dovuto partecipare e che invece è affare di Inter e Juventus. Il problema maggiore, però, è che Insegne e compagni sono staccati ormai 8 lunghezze anche dal quarto posto e dalla zona Champions. Sono numeri impietosi: 12 punti in meno dello scorso anno (che pure non era stato eccezionale), addirittura 18 rispetto all’ultimo Sarri. Gli appena 20 punti conquistati rappresentano la peggior classifica dell’ultimo decennio: bisogna tornare indietro fino al 2009/2010. A questo punto della stagione, Donadoni era già stato esonerato da un pezzo. E quella squadra giocava con Contini, Datolo e Gargano, non certo i campioni su cui può contare oggi Ancelotti.
Ancelotti, appunto. È triste dirlo, perché il suo ritorno in Italia ha rappresentato una bella notizia per tutta la Serie A, e ancora adesso che le cose vanno male, malissimo, è un piacere ascoltarlo a fine partita, con la sua educazione, la sua conoscenza di pallone. Però ormai bisogna ammettere che la sua esperienza a Napoli è quantomeno deludente. Da quando è arrivato, non è mai riuscito a dare la sua impronta, trasmettere un’idea, lasciare un segno qualsiasi alla squadra. All’inizio c’era da smontare il giocattolo (quasi) perfetto costruito da Sarri e riplasmarlo a sua immagine e somiglianza: serviva tempo. La prima stagione, fra alti e bassi, si era chiusa con una brutta eliminazione in coppa e un secondo posto a 11 punti dalla Juve, tanti, davvero troppi per chi l’anno prima lo scudetto l’aveva praticamente vinto. “Ma vedrete il prossimo, il secondo anno sarà quello di Ancelotti”, si diceva.
Le premesse c’erano tutte. Un anno in più di rodaggio, una campagna acquisti importante: non avrà avuto il pupillo James Rodriguez, ma sono arrivati Di Lorenzo, Lozano, Llorente, Manolas insieme a Koulibaly avrebbe dovuto costituire la miglior coppia difensiva del campionato. Invece il secondo anno di Ancelotti è un disastro, peggio del primo: difesa colabrodo, attacco prevedibile, subito fuori dalla lotta scudetto. Ed è proprio questo il punto: la stagione del Napoli non è mai cominciata, è nata morta. È chiaro che adesso la rottura fra squadra e società ha preso il sopravvento: la striscia di otto partite senza vittoria evidentemente è frutto di problemi extra-calcistici, di un gruppo di giocatori che va in campo sapendo che il loro presidente ha deciso di portarli in “tribunale” per multe fino a 2,5 milioni di euro. De Laurentiis ci ha messo tanto del suo. Ma non bisogna confondere la conseguenza per la causa: il campionato era già compromesso quando si è verificato tutto questo. Forse si è verificato proprio per questo.
Arrivati a dicembre, forse non è più eccessivo parlare di fallimento. Non definitivo, non ancora almeno: il calcio offre sempre una possibilità di riscatto, fino a quando c’è un’altra partita (o competizione) da giocare. Nel caso del Napoli la Champions League, dove gli azzurri hanno vinto e pareggiato contro i campioni in carica del Liverpool e sono a un passo dal primo posto nel girone. In questa situazione, però, non è tutto oro quel che luccica, nemmeno la qualificazione agli ottavi: preclude il declassamento in Europa League, che in primavera avrebbe potuto diventare un obiettivo concreto, un trofeo con cui salvare la stagione (mentre nemmeno i più inguaribili ottimisti sognano di vincere la Champions). Come Ancelotti possa a questo punto riprendere per i capelli un’annata disgraziata non è chiaro, forse non lo sa nemmeno lui. Anche dalla sue parole, però, si capisce che il suo Napoli ha fallito prima sul campo, poi in tutto il resto. Nei momenti più difficili un gruppo o si ricompatta o affonda. Gli azzurri sembrano affondare. In fondo anche questo è un altro fallimento.