La prima volta che ebbi le mestruazioni, in famiglia si brindò con una alzata di calici. Mia madre, femminista più per istinto che per preparazione politica, fu tassativa: “Non voglio sentirti dire la parola marchese o altre baggianate! Si chiamano mestruazioni e, quando avrai il ciclo mestruale, vai in palestra perché non sei malata”.
Lei, che alla prima mestruazione si era sentita dire da sua madre “da oggi non vai più a giocare” e si era vista imporre una limitazione alla libertà di movimento, che segnava uno spartiacque tra l’essere maschio ed essere femmina, con me aveva posto fine alla reiterazione di un pregiudizio. Avere le mestruazioni non doveva essere più una sfortuna o impedimento a nulla: nello sport, nel gioco, nel movimento. E dopo parecchi anni abbiamo alzato i calici anche per mia figlia accogliendo positivamente un evento fisiologico e naturale e certo non mortificante.
Il sangue mestruale innominabile e osceno, sia dentro che fuori le mura di casa, da tempo è entrato nell’agenda politica. Dopo anni di battaglie, nel decreto fiscale è stato introdotto il taglio della tampon tax, ovvero l’abbattimento dell’Iva dal 22 al 5% sugli assorbenti igienici ma solo su quelli biodegradabili e compostabili (il governo Lega-M5s a maggio aveva invece respinto la proposta di ridurre la tassazione sugli assorbenti igienici).
L’abbattimento dell’Iva è stato un obiettivo raggiunto grazie all’Intergruppo donne composto da deputate della maggioranza e capitanate da Laura Boldrini. La riduzione riguarda assorbenti che sono più difficili da acquistare e con un costo superiore a quello dei non biodegradabili – che mantengono l’Iva al 22%. Ma se si sensibilizzerà sull’importanza di non inquinare il pianeta, il mercato si amplierà e il costo degli assorbenti ecologici diminuirà. L’ideale sarebbe arrivare, prima o poi, alla produzione di soli assorbenti biodegradabili e compostabili.
Eppoi ci sono le coppette mestruali che possono essere utilizzate più volte e sono più igieniche dei tamponi interni. I modi per occuparsi dell'”arte di sanguinare” sono diversi e finalmente la politica si è occupata dei costi che le donne devono sostenere. Ma oggi parlare di sangue mestruale crea ancora un disagio? Pare proprio di sì e alcune artiste, per scardinare questo tabù, hanno suscitato scandalo usando sangue mestruale per dipingere o l’hanno raffigurato in fotografie.
Perché c’è sangue e sangue. Se il sangue maschile versato dai caduti – o addirittura bevuto simbolicamente come il sangue di Cristo – rappresenta energia vitale, quello mestruale è stato a lungo vissuto come impuro, mortifero e avvilente, qualcosa di cui tacere o sparlare.
La storia è antica. Nel Vangelo, Cristo compie un atto rivoluzionario toccando l’emorroissa, perché la donna che perdeva sangue nella cultura ebraica (ma non solo) era considerata impura. Un tabù che si è tramandato fino ai nostri giorni, condito e alimentato da leggende che resistono, ancora oggi, sulla distruttività del sangue mestruale. Corbellerie che però hanno sempre pesato psicologicamente sulle donne, facendo loro vivere con disagio una naturale fisiologia.
Lo stigma del mestruo come veicolo di follia o instabilità femminile ha pesato a lungo ed è stato uno degli ostacoli all’ingresso delle donne in magistratura fino al 1967, perché ne avrebbe compromesso la capacità di giudicare. Si pensava che il mestruo alterasse non solo lo stato mentale delle donne ma anche la materia: a contatto con una donna col ciclo, le piante sarebbero appassite, il ferro arrugginito, la maionese naturalmente sarebbe “impazzita” e la panna “inacidita”. E ancora, non si potevano avere rapporti sessuali in quei giorni, nuotare o fare altra attività sportiva (l’attività fisica, al contrario di ciò che si pensa, incide positivamente sul dolore mestruale).
Molte aziende hanno giocato sullo scardinamento di queste credenze facendo marketing e rappresentando donne che “in quei giorni” si lanciano col paracadute o fanno sport estremi. Che col sangue mestruale si possa fare tutto lo abbiamo finalmente capito – a parte i casi in cui si soffra di dismenorrea, che può essere molto invalidante. In Italia è fermo il disegno di legge sul congedo mestruale che riconoscerebbe tre giorni di permesso a coloro che ne soffrono. In altri Paesi esiste già e le donne possono farvi ricorso quando i dolori si fanno insopportabili.
In Giappone per attirare l’attenzione sui dolori mestruali alcune dipendenti della catena Damaru, a Osaka, hanno indossato un badge per segnalare di avere il ciclo mestruale. Tutto per ottenere maggiore collaborazione dai colleghi e aver turni di riposo. L’azienda ha poi ritirato il cartellino, promettendo di mettere in atto altre strategie per andare incontro alle esigenze delle dipendenti.
È lunga la strada per colmare il gap prodotto da una differenza a lungo negata o stigmatizzata. Forse per il timore e la diffidenza suscitata da un corpo che ha l’arte di sanguinare senza deperire e morire, ma che si rigenera ciclicamente.