Misure cautelari eseguite in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Lazio, Abruzzo, Marche, Emilia Romagna, Veneto e all’estero, in Germania, Francia, Olanda e Malta. Tra le principali fonti di guadagno degli arrestati a Bari sfruttamento della prostituzione e accattonaggio davanti ai supermercati. La procura: "No strumentalizzazioni. Alcuni hanno commesso reati, altri hanno collaborato con la giustizia"
Associazione per delinquere, tratta, riduzione in schiavitù, estorsione, rapina, lesioni, violenza sessuale e sfruttamento della prostituzione. Sono le accuse rivolte a vario titolo alle 32 persone arrestate al termine dell’indagine della Squadra mobile di Bari, coordinata dalla procura antimafia del capoluogo pugliese, su due gang nigeriane che agivano come articolazioni dei clan Vikings e Eiye. Il quartier generale delle due organizzazioni era nel Cara di Bari-Palese (Centro di accoglienza per richiedenti asilo) e poi nel quartiere Libertà.
Arresti in 4 Paesi europei – Le misure cautelari sono state eseguite in Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Lazio, Abruzzo, Marche, Emilia Romagna, Veneto e all’estero, in Germania, Francia, Olanda e Malta. L’indagine, coordinata dalle pm della Dda di Bari Simona Filoni e Lidia Giorgio, ha accertato che diversi episodi di aggressioni avvenuti negli ultimi anni all’interno del centro di accoglienza: violenza sessuale su connazionali, risse e accoltellamenti sarebbero riconducibili alle attività delle gang, ritenute vere e proprie associazioni per delinquere di stampo mafioso con suddivisione gerarchica dei ruoli, rituali di affiliazione, ricorso alla violenza e alla intimidazione. Tra le principali fonti di guadagno dei gruppi criminali nigeriani presenti a Bari e documentate in questa inchiesta ci sono lo sfruttamento della prostituzione e l’accattonaggio davanti ai supermercati.
La procura: “No strumentalizzazioni” – “Non si facciano strumentalizzazioni su questa vicenda. I nigeriani che sono stati arrestati sono persone che hanno commesso reati, esattamente come facciamo con tutte le persone di qualsiasi colore, razza e Paese“, ha spiegato il procuratore aggiunto Francesco Giannella. “Poi ci sono tanti nigeriani che hanno chiesto aiuto nelle forme previste dalla legge, chiedendo cioè che lo Stato italiano intervenisse per riportare l’ordine e la giustizia”, ha aggiunto. In conferenza stampa anche il procuratore Giuseppe Volpe ha evidenziato che “normalmente c’è una certa diffidenza nei confronti degli extracomunitari che fanno ingresso nel nostro Paese, ma così come ci sono extracomunitari che delinquono, ci sono quelli che collaborano con la giustizia. Le vittime dei reati sono anch’esse cittadini nigeriani che hanno collaborato”. “Voglio valorizzarlo – ha detto Volpe – perché spesso con le popolazioni autoctone abbiamo difficoltà ad ottenere collaborazione. In questo processo ci sono state tante denunce e riconoscimenti”.
La nascita dell’inchiesta – Le indagini sono partite infatti dalle denunce presentate, sul finire del 2016, da due cittadini nigeriani, ospiti del Cara, che hanno dichiarato di essere stati vittime di pestaggi, rapine e ripetuti tentativi di condizionamento. I dettagli contenuti nelle denunce hanno permesso di comprendere che molte delle violenze commesse non erano casi isolati, ma si inserivano in un contesto di scontri tra le due principali gang criminali presenti. Entrambe hanno reclutato nuovi adepti attraverso riti cruenti di iniziazione consistenti in ‘prove di coraggio’, per tentare di prevalere l’una sull’altra e hanno commesso violenze, rappresaglie e punizioni fisiche.
I metodi punitivi – Entrambe le compagini si sono connotate per la solidità del vincolo associativo, la programmazione di reati di varia natura e per un capillare e costante controllo da parte dei capi per il rispetto dei ruoli e delle regole, con l’applicazione di metodi punitivi violenti ogni qualvolta si rendesse necessario per ristabilire gli equilibri compromessi. I due gruppi hanno dimostrato di possedere una struttura rudimentale quanto ai mezzi adoperati, ma solidissima dal punto di vista della ideologia, della organizzazione e dei reati da perseguire, senza cercare in alcun modo aderenze con le mafie locali. Dando prova, quanto allo sfruttamento della prostituzione, secondo gli inquirenti, di supremazia anche nei confronti delle bande composte da albanesi e rumeni.