Un gruppo di scienziati dell’università di Cagliari mi ha scritto raccontandomi una storia surreale. Rischiano di perdere uno strumento fondamentale per la loro ricerca a causa della burocrazia e delle leggi folli. Se non riusciranno a concludere in tempi brevi un acquisto di elio liquido (non quello con cui si riempiono i palloncini) che è dell’ordine di 1500 euro, si bloccheranno tutte le loro ricerche per mesi e per riattivare lo strumento dovranno spendere circa 20 volte tanto, almeno 30mila euro. Ma andiamo per ordine.

La Risonanza Magnetica Nucleare è una tecnica indispensabile nella ricerca in chimica organica, perché permette di “vedere” il risultato dei propri esperimenti. Questo strumento lavora tramite un campo magnetico elevatissimo, generato in virtù del fenomeno della superconduzione. Per essere mantenuto, il magnete deve essere immerso in elio liquido, a -269 °C, a temperature di soli quattro gradi superiori allo zero assoluto.

Ma se la scienza ha raggiunto traguardi inimmaginabili in anni di lavoro, la burocrazia rischia di distruggere tutto in pochi minuti. In Sardegna nessuno produce elio liquido e dunque i ricercatori dell’ateneo cagliaritano lo devono acquistare nel continente. Le università sono obbligate a servirsi del Mepa (Mercato elettronico della pubblica amministrazione), il farraginoso sistema per gli acquisti, che può permettere effettivamente di risparmiare qualora si comperino prodotti standard, tutti uguali.

L’esperienza però ci dice che è assolutamente inadeguato nei casi descritti sopra, nei quali servano prodotti per la ricerca molto specifici, anche perché se si può obbligare le università ad acquistare solo attraverso il Mepa, non si possono costringere i produttori a mettere i loro prodotti sul Mepa. Ed è esattamente ciò che sta accadendo in questo caso.

Il prezzo dell’elio liquido cambia molto velocemente e i produttori non lo mettono sul Mepa perché sarebbero in grado di garantire quel prezzo solo per tempi brevissimi. Il personale amministrativo degli atenei non ha colpe, perché è di fatto obbligato a ricorrere al Mepa con la legislazione vigente. Accade quindi che ci si debba rivolgere obbligatoriamente al Mepa per avere un prodotto che lì non c’è.

Qui il peso e la cecità della macchina burocratica italiana trova una delle sue massime espressioni. Ho lavorato in diverse università Usa, Uk e Danimarca per cinque anni: in nessuno di questi posti c’è qualcosa che si avvicina anche lontanamente al Mepa.

Che cosa accadrà ora se non si trova una soluzione in tempi brevissimi? Che ai primi di gennaio, l’elio liquido rimasto nello strumento dell’università di Cagliari scenderà sotto il livello di guardia: a quel punto inizierà a evaporare violentemente, tra l’altro mettendo anche a rischio la sicurezza e l’incolumità delle persone in quanto, se si forma un tappo di ghiaccio sulle valvole, queste potrebbero saltare come proiettili.

Lo strumento subirà danni a tutte le guarnizioni e per riattivarlo ci vorranno mesi e decine di migliaia di euro. I ricercatori di quel dipartimento non potranno lavorare. E noi per la rigidità collegata a una spesa di 1500 euro avremo pagato i loro (spesso troppo esigui) stipendi e i costi della riparazione dello strumento danneggiato, circa 30mila euro. Bella beffa vero?

Ora, tutto questo è folle, assurdo, surreale, incredibile. Ancor più se pensiamo che ogni anno i cittadini italiani regalano qualcosa come 300 milioni di euro per la ricerca agli altri Stati europei, perché a tanto ammonta il divario tra quanto le nostre università riescono a portare a casa con i progetti europei e quanto invece diamo all’Europa con le nostre tasse.

Sicuramente, imporre delle zavorre assurde ai nostri ricercatori, come l’obbligo del Mepa per gli acquisti, è una delle ragioni che contribuisce a rendere molto meno competitivi i nostri atenei. Oggi, martedì 3 dicembre è stato approvato alla Camera il decreto Istruzione, che all’articolo 4 abolisce l’obbligo di ricorrere al Mepa da parte di università ed enti scientifici per quanto riguarda i materiali di ricerca, come appunto l’elio liquido.

È bene rimarcare che chi ritiene di risparmiare con il Mepa potrà continuare a farlo: quello che sarà tolto è solo l’obbligo, perché in alcuni casi specifici – e quello descritto sopra ne è un esempio chiaro – il Mepa diventa un ostacolo insormontabile. Con l’approvazione definitiva di questo provvedimento si rendono le università italiane più competitive per i fondi europei.

Con il Mepa in vigore è come se i nostri ricercatori corressero una gara nella quale l’allenatore (lo Stato italiano) ha messo loro sulle spalle un sacco di cemento e impedisce loro di comperarsi le scarpe nuove, mentre quelli degli altri paesi europei hanno attrezzature di prim’ordine.

Prima ancora che pensare a leggi nuove, bisognerebbe sistemare quelle assurde che ci sono (e questo si può fare con semplici emendamenti, non servono altre leggi). Lo strumento dell’università di Cagliari ha autonomia fino ai primi di gennaio. Speriamo che l’approvazione del decreto Istruzione possa fare in tempo a salvarlo e a evitare ai cittadini di buttare soldi inutilmente. Salviamo la ricerca, proteggiamola dalla burocrazia inutile.

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