Per farsi un’idea sulla mancanza di leader sul tema del global warming, in astratto la questione centrale nell’agenda delle cancellerie di tutto il mondo, è sufficiente seguire le notizie su Greta Thunberg. La stampa internazionale sembra concentrata più sulla lenta marcia di avvicinamento dell’attivista svedese alla Conferenza di Madrid che ai lavori in pieno svolgimento nel Vertice Cop25.
L’altro ieri si commentavano post della giovane ecologista al largo di Cabo da Roca; poche ore fa i media pubblicavano titoloni sull’attracco nel porto di Lisbona del catamarano Le Vagabonde, imbarcazione a zero emissioni sulla quale la svedese ha compiuto la lunga traversata.
Una ragazza divenuta icona, chiamata – senza volerlo – a dover colmare un evidente vuoto di leadership della politica mondiale. Con l’India concentrata sulla questione dell’autonomia del Kashmir, l’Unione europea a leccarsi le ferite mentre cerca di capire quel che sarà nel post Brexit, il Brasile di Jair Bolsonaro ripiegato su se stesso, gli Usa di Donald Trump più interessati all’uso dei dazi come nuova arma nei rapporti tra stati che al futuro del pianeta.
E la Cina lì, ferma sulle note posizioni di partenza: riempire le banchine dei porti del mondo di containers con proprie merci, e nessuna attenzione per ecosostenibilità, nuove politiche energetiche, diritti. Lauri Myllyvirta, analista di Greenpeace, in un report dell’associazione denuncia che nei primi mesi del 2019 le emissioni del colosso cinese provenienti da consumo di combustibile fossile e produzione di cemento hanno registrato un nuovo aumento (pari al 4%).
Superpotenze che perseguono un unico comune mantra: la crescita. Tanto che i quattro paesi citati e l’istituzione comunitaria causano più della metà delle emissioni globali. Blocchi, però, oggi più divisi che all’epoca dell’Accordo di Parigi del 2015 quando erano lontane le prospettive di una guerra commerciale, i cui fragori coprono le urla allarmate della comunità scientifica.
Lo ha sottolineato anche il premier spagnolo Pedro Sánchez, nel discorso di apertura della Conferenza quale anfitrione, quando ha ricordato che per molti anni sono circolate versioni negazioniste sul clima, rimanendo ora solo un pugno di fanatici a negare ancora l’evidenza. Un chiaro riferimento al presidente Trump il quale non risparmia critiche, aspre ma strumentali, alle risultanze di ricerche scientifiche.
L’inquilino della Casa Bianca, tuttavia, non ha vita facile al suo interno: un grande paese federale che concede molti poteri alla periferia. Lo ha messo in luce lo stesso Antonio Guterres, politico portoghese, oggi segretario generale dell’Onu, il quale a Madrid ha espresso con favore le scelte legislative di singoli Stati come la California che già con il governatore Arnold Schwarzenegger – il più “democratico” tra i repubblicani – aveva ridotto per decreto la soglia delle emissioni in atmosfera.
Torniamo a Pedro Sánchez. Il premier socialista ha avuto l’intuito di proporre la capitale spagnola come sede del vertice internazionale: Santiago del Cile – sede originariamente designata – bruciava nelle rivolte di piazza. Ma in quelle fasi anche le strade di Barcellona erano messe a ferro e fuoco per le rivendicazioni separatiste. Madrid si è trovata così al centro della politica internazionale.
Tuttavia su questi temi anche la Spagna è in seria difficoltà. La mancanza di un governo nel pieno delle funzioni si riflette nelle politiche ambientali: continua a crescere la cementificazione persino nelle zone protette; gli interventi contro l’abusivismo sono rari e poco efficaci; l’iter sulla approvazione della legge sul cambiamento climatico soffre l’instabilità della politica.
Così il disegno legislativo è bloccato da mesi al Congresso. Eppure contiene misure utili quali una nuova politica sulle rinnovabili, drastica riduzione di CO2 da carbone, il divieto dello sfruttamento di risorse mediante fracking, analisi periodiche congiunte, da parte del Banco de España, degli enti di controllo della Borsa e del sistema assicurativo, sui rischi per il sistema finanziario e per l’economia in genere in conseguenza del cambiamento climatico.
La Spagna poco ha fatto in questi anni: quando ha mosso un passo in avanti, con l’istituzione di Madrid Central ad esempio – la prima zona a basse emissioni nel paese, voluta nella Gran Vía dall’allora sindaco di sinistra Manuela Carmena -, si è subito ritratta. L’attuale primo cittadino, il conservatore Martínez-Almeida, dopo aver introdotto una moratoria sulle multe emesse nell’area verde, subito bocciata dalla magistratura locale, ha promesso un programma di forte revisione della zona pedonale. Un passo in avanti e uno indietro, appunto. Ancora poche ore e arriva Greta.