Non è una sfida impossibile, a patto che ci sia un cambio di passo rispetto all’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima proposto dal governo, che prevede una riduzione delle emissioni al 2030 del 37%, al di sotto del traguardo europeo fissato al 40% e con una proiezione al 2050 del 64%
Anticipare la completa decarbonizzazione dell’economia italiana entro il 2040 non è una sfida impossibile. A patto che ci sia un cambio di passo rispetto all’attuale Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) proposto dal governo, che prevede una riduzione delle emissioni al 2030 del 37%, al di sotto del traguardo europeo fissato al 40% e con una proiezione al 2050 del 64%. Nella settimana di apertura della COP25 di Madrid Legambiente presenta la Roadmap per anticipare la decarbonizzazione, nella convinzione che l’Italia avrebbe tutto da guadagnare, in termini di riduzione di importazioni e consumi di petrolio e gas, anticipando già entro il 2030 una riduzione delle emissioni climalteranti del 60% e arrivare al 2040 a zero emissioni. Si può fare, secondo uno studio realizzato da Elemens e presentato nella giornata di apertura del XII Forum Qualenergia, organizzato a Roma dall’associazione ambientalista, dall’editoriale Nuova Ecologia e dal Kyoto Club, in partenariato con Cobat. Si contano anche i benefici che arriverebbero sul fronte occupazionale “con 640mila nuovi addetti tra diretti e indiretti attraverso il ciclo di investimenti, in particolare nell’efficienza energetica, ma anche nelle rinnovabili elettriche e termiche e nelle reti”.
I DUE SCENARI POSSIBILI – Adottando gli obiettivi di decarbonizzazione indicati da Legambiente e coerenti con il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C, lo studio sviluppa due scenari – zero@2040 e zero@2050 – in grado di raggiungere emissioni nette zero al 2040 (scenario virtuoso) e anticipare, così, gli impegni di riduzione delle emissioni previsti dall’Accordo di Parigi per i paesi industrializzati ed emissioni nette zero nel 2050, secondo quanto previsto dalla Strategia climatica europea di lungo termine proposta dalla Commissione Europea. Tra i vari meccanismi di flessibilità a disposizione degli Stati Membri per la contabilizzazione delle emissioni spicca l’assorbimento netto di CO2 del settore forestale e, in effetti, entrambi gli scenari elaborati prevedono un significativo contributo degli assorbimenti per ridurre le emissioni di CO2. Lo scenario più virtuoso permetterebbe di colmare il ritardo degli anni passati e raggiungere una riduzione delle emissioni del 60% già entro il 2030, grazie al fondamentale contributo degli assorbimenti per compensare le emissioni del settore industriale che presenta le maggiori difficoltà per una rapida decarbonizzazione.
OTTO CAMPI DI AZIONE – Per raggiungere i livelli di decarbonizzazione prospettati in questo scenario, però, è indispensabile accelerare in 8 campi di azione descritti nello studio: semplificare le autorizzazioni, aprire alle comunità energetiche e all’integrazione del fotovoltaico in agricoltura, puntare su sistemi di accumulo, efficienza energetica, elettrificazione delle città, potenziare reti e interconnessioni e spingere su biometano ed eolico galleggiante. Per quanto riguarda le autorizzazioni, sul fronte dell’eolico molti progetti presentati in Italia prima del 2016 non sono più validi o tecnologicamente aggiornati. Le autorizzazioni rilasciate nel 2019 sono sei: c’è un blocco in molte Regioni del Sud, a dispetto di un numero di istanze crescenti (attualmente oltre 3 GW in attesa) , mentre, per Legambiente, proprio le Regioni (tutte) dovrebbero aumentare di almeno 7 volte il ritmo di rilascio delle autorizzazioni rispetto alla media degli ultimi 3 anni. E di almeno 15 volte quello registrato nel fotovoltaico, Se oggi siamo sui 300-400 MW all’anno, secondo il PNIEC si dovrà arrivare a oltre 3 GW all’anno, obiettivo che nello scenario di Legambiente diventa ancora più ambizioso.
EFFICIENZA ENERGETICA ED ELETTRIFICAZIONE DELLE CITTÀ – Una necessità, invece, saranno i sistemi di accumulo e segnali di prezzo stabili. Una imponente produzione rinnovabile (superiore alla domanda) farà infatti diminuire prezzi, riducendo i ricavi (effetto cannibalizzazione) e richiederà al sistema significativi interventi in impianti di accumulo dell’energia. Il Pniec prevede la realizzazione di più di 6 GW di storage entro il 2030 per garantire una corretta integrazione delle fonti rinnovabili, ma Terna indica come al 2040 la capacità di accumulo complessivamente installata dovrà raggiungere i 20 GW, valore che – tenuto conto dei target di Legambiente – sarebbe opportuno anticipare al 2030. Per quanto riguarda l’efficienza energetica, rispetto alla traiettoria già tracciata dal Pniec, occorrerà ridurre i consumi per impieghi finali di un ulteriore 61%. Principali strumenti da potenziare sono le detrazioni fiscali (vedi Ecobonus e BonusCasa) e i certificati bianchi. Quest’ultimo meccanismo ha subìto negli ultimi anni una battuta d’arresto, dovuto in particolare alla scarsità di titoli emessi (a cui si sono aggiunti i dati sulle irregolarità). Per centrare il target a zero emissioni proposto da Legambiente sarà necessario spostare buona parte dei consumi relativi a trasporti e fabbisogno termico dalle fonti fossili al vettore elettrico, ma anche potenziare la rete elettrica, sia per quanto riguarda le interconnessioni con stati esteri che per quanto riguarda la rete di trasmissione nazionale.
BIOMETANO ED EOLICO GALLEGGIANTE – Altro fronte è quello del biometano. Ad oggi risultano circa mille richieste preliminari di connessione alla rete da parte di impianti a biometano. Considerando l’intero contingente messo a disposizione dal DM biometano (1,1 Mld m3) il potenziale raggiungibile al 2030 di 8,5 Mld m3 (fonte CIB) resta ancora lontano (anche immaginando la conversione a biometano dell’intero parco a biogas, pari a circa 2,6 Mld m3). Infine, nello studio si analizza il potenziale dell’eolico galleggiante in Italia. Ad oggi la diffusione risulta difficile a causa della scarsità di fondali con caratteristiche di profondità conformi con i vincoli tecnici delle piattaforme offshore tradizionali e della loro vicinanza rispetto alla costa che ne amplifica l’impatto visivo. Negli ultimi anni è in corso di sperimentazione una tecnologia nota come ‘floating wind’ dove le pale eoliche sono integrate in una piattaforma galleggiante a sua volta ancorata al fondale, consentendo di posizionare le turbine in corrispondenza di fondali più profondi.