Il sistema avrà delle correzioni per evitare la frammentazione. I partiti che sostengono il governo devono ora scegliere il tipo di meccanismo da adottare: o una soglia di sbarramento nazionale o circoscrizioni medio-piccole, ossia il cosiddetto modello spagnolo
La maggioranza sembra aver deciso per una riforma elettorale in chiave proporzionale, ma con correzioni. Lo ha confermato il ministro dei Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà al termine del vertice di maggioranza spiegando che “entro la fine dell’anno” vedrà la luce un testo definitivo. Come annunciato più volte a essere privilegiato è il”proporzionale con un meccanismo antiframmentazione“. Viene quindi escluso un sistema maggioritario, compreso il doppio turno nazionale proposto dal Pd e avversato da M5s, Italia Viva e Leu.
La maggioranza, però, ora deve affrontare una doppia incognita. La prima è quella sul tipo di legge proporzionale: a seconda dei correttivi, infatti, si potrebbe allargare il consenso anche dei piccolo partito di opposizione (come quello di Giovanni Toti o la stessa Forza Italia). La seconda incognita della maggioranza giallorossa, invece, riguarda invece l’eventuale voto anticipato: se il governo Conte 2 dovesse cadere si tornerebbe alle urne in primavera, con il rischio di votare un Parlamento senza la riforma sul taglio dei Parlamentari (se passa la richiesta di referendum). E ovviamente senza una nuova legge elettorale ma con il Rosatellum, che garantirebbe una quasi scontata vittoria alla Lega.
Questi i punti centrali del confronto al vertice serale di maggioranza al quale il ministro D’Incà si è presentato con delle simulazioni con i diversi sistemi elettorali e in cui si è confermato l’impegno a presentare un testo entro il 20 dicembre. Il ministro dei Rapporti col Parlamento ha portato una serie di proiezioni con soli sistemi proporzionali, riconducibili a due principali varianti: con soglia nazionale (al 4 e al 5%) o con soglia circoscrizionale, cioè il cosiddetto “sistema spagnolo”. Quest’ultimo garantisce ai partiti in bilico nel raggiungimento di una soglia nazionale (appunto 4-5%) di poter eleggere dei parlamentari almeno nelle grandi circoscrizioni urbane, garantendogli un diritto di tribuna, specie in Senato. La maggioranza tornerà a riunirsi per decidere su quest’ultimo punto la prossima settimana. A questa prima decisione se ne accompagna una seconda sul contenuto della legge: voto di preferenza, brevi listini bloccati o ancora collegi uninominali come il modello in vigore per il Senato fino al 2006.
L’altra scelta di fondo, di natura squisitamente politica, è la velocità con cui procedere con la riforma elettorale. Infatti mandarla avanti rapidamente per taluni rischia di accelerare la fine della legislatura, mentre c’è chi paventa un pericolo simmetricamente opposto: se per una qualsiasi ragione dovesse invece cadere a breve la legislatura, prima di avere la nuova legge, si voterebbe con il Rosatellum, un vantaggio per la Lega di Salvini che, se Pd e M5s non si alleano, potrebbe vincere quasi tutti i collegi uninominali.
Il tema dei tempi si intreccia con quello della eventuale richiesta di referendum sul taglio dei parlamentari che va presentata entro il 12 gennaio. Se verranno raccolte le 65 firme necessarie in Senato (ad oggi hanno firmato in 52 senatori), l’entrata in vigore del taglio dei parlamentari slitterà a dopo lo svolgimento del referendum (aprile-maggio). Ma ciò potrebbe indurre qualche partito a far cadere la legislatura prima per poter rieleggere un Parlamento con 945 eletti anziché 600. Un dubbio che ha frenato la raccolta di firme inizialmente partita a piè sospinto. Nessun partito dichiara questa intenzione, ma molti parlamentari riferiscono che vi sono diffidenze su accordi in tal senso tra leader di partiti.