Le emissioni globali di carbonio continuano a crescere, anche se con un ritmo più lento. I dati del rapporto annuale Global Carbon Budget 2019, pubblicati in occasione della Cop25 Unfccc in corso a Madrid da Nature Climate Change, Earth System Science Data ed Environmental Research Letters non sono una buona notizia per una serie ragioni. Intanto perché, secondo le stime, le emissioni derivanti dai combustibili fossili e dall’industria dovrebbero raggiungere entro la fine del 2019 i 36,8 miliardi di tonnellate (GtCO2) e mai nella storia sono state così alte. Non consola il fatto che, rispetto ai livelli del 2018, l’aumento sia dello 0,6 per cento (la forchetta di previsione va dal -0,2 al +1,5 per cento), mentre lo scorso anno era stato del 2,2 per cento. Una crescita che non si registrava da sette anni. Non consola perché, come ricordato dallo studio ‘Emission Gap 2019’ dell’Unep (l’Agenzia per l’Ambiente dell’Onu), la verità è che le emissioni sono aumentate con una media dell’1,5% all’anno nell’ultimo decennio, quando invece andrebbero tagliate del 7,6% all’anno dal 2020 al 2030, per contenere entro fine secolo l’aumento medio della temperatura a 1,5 gradi. Così indica l’Accordo di Parigi, ma siamo lontani anni luce: anzi, alla fine di quest’anno le emissioni saranno aumentate del 4 per cento rispetto all’anno in cui quell’accordo è stato firmato (2015). E a ogni passo in avanti, se ne fanno altri indietro: il calo della combustione del carbone, racconta infatti il Global Carbon Budget 2019, viene compensato dalla forte crescita del gas naturale (considerato dai ricercatori una “soluzione a breve termine”) e dell’utilizzo di petrolio in tutto il mondo. A preoccupare gli analisti, inoltre, sono una serie di tendenze globali e legate a singoli Paesi, che condizionano negativamente la corsa (si fa per dire) verso gli obiettivi.
CHI DIMINUISCE E CHI AUMENTA LE EMISSIONI – Nel 2018 i primi sei Paesi emettitori di CO2 sono stati responsabili del 67% delle emissioni globali: parliamo di Cina (28%, con una crescita del 2,3 rispetto alla percentuale del 2017), Stati Uniti (15%, +2,8% rispetto al 2017), Ue (9%, -2,1%), India (7%, con una crescita di 8 punti percentuali rispetto a due anni fa), Russia (5%, con un aumento del 3,9%) e Giappone (3%, con un calo del 2,2%). Le stime per il 2019 vedono sempre la Cina in testa con 10,3 GtCO2 (con un aumento del 2,6% rispetto al 2018), gli Usa a quota 5,3 e l’Unione europea a 3,4, entrambe però un calo dell’1,7%, e l’India a 2,7, ma con un aumento dell’1,8%. In generale, in nessun Paese le emissioni aumentano come in Cina. Se si analizza il dato del 2018 pro capite, però, gli Stati Uniti schizzano al primo posto, seguiti da Russia e Giappone. Va, inoltre, considerato – in termini di responsabilità – che il dato relativo alla Cina è frutto anche della delocalizzazione da parte dei Paesi occidentali delle loro industrie più pesanti.
MENO CARBONE, MA AUMENTANO LE EMISSIONI DA PETROLIO E (SOPRATTUTTO) GAS – Il tasso di crescita più basso delle emissioni è dovuto soprattutto alla diminuzione nell’utilizzo del carbone, che resta la fonte principale di emissioni su scala globale. In realtà è un trend che va avanti da tempo: negli ultimi dieci anni le emissioni da carbone sono cresciute dello 0,6%, senza però segnare più una crescita significativa dal 2012. Una tendenza generale, dovuta anche a una debole crescita economica. Oggi siamo a 14,5 miliardi di tonnellate, con un calo stimato per il 2019 dello 0,9% rispetto al 2018, anno in cui il carbone è stato la causa del 40 per cento delle emissioni mondiali di anidride carbonica, seguito da petrolio (34%) e gas (20%). L’utilizzo del carbone cala in Ue (-10%) e negli Stati Uniti (-11%), mentre cresce in Cina e India, anche se più lentamente rispetto agli ultimi anni.
Nel 2019, però, si stima un aumento sia delle emissioni da petrolio che, con un +0,9% arriveranno a quota 12,5 miliardi di tonnellate, sia di quelle derivanti dal gas che aumentano del 2,6% e arrivano a 7,7 GtCO2. I dati degli ultimi anni raccontano di un crescita costante nel settore degli idrocarburi, soprattutto del gas. Tanto che, si legge nel rapporto, dal 2012 il gas naturale è stato responsabile di oltre la metà dell’aumento globale delle emissioni. Un fenomeno riscontrabile anche analizzando ciò che avviene nei vari Paesi.
PETROLIO E GAS NEGLI USA E IN EUROPA – Negli Stati Uniti, nel 2019 si prevede un aumento del 3,5% (grazie a prezzi bassi e a un utilizzo sempre maggiore che ne viene fatto per produrre elettricità), mentre il petrolio cala dello 0,5% rispetto al 2018, anno in cui si è dovuto far fronte a particolari esigenze di riscaldamento domestico dovute a un inverno freddo. In Europa, crescono entrambi: il petrolio di mezzo punto percentuale e il gas dell’1%. In India, neppure lo sviluppo di energia solare ed eolica blocca l’aumento delle emissioni dovute all’utilizzo del carbone (+2% di GtCO2), del petrolio (+1,5%) e di gas (+ 2,5%). C’è un passo più lento rispetto agli ultimi anni, probabilmente dovuto a un rallentamento della crescita dell’attività economica a cui si sono aggiunti un anno monsonico che ha causato l’allagamento di miniere di carbone inondate e un’elevata produzione di energia idroelettrica.
IL CASO DELLA CINA – Le emissioni cinesi, invece, sono tuttora dominate dall’uso di carbone (7,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica) con un aumento per il 2019 dello 0,8%. Comunque un segnale preoccupante, dopo il calo degli ultimi anni e, soprattutto, pensando al boom che c’è stato dal 2000 al 2010. Perché alla Cina un “ritorno di fiamma” con il carbone non serve affatto, considerando la forte scalata di petrolio e gas, che registrano un aumento rispettivamente del 6,9 e del 9,1 per cento. Nel frattempo, però, il vicedirettore generale per i cambiamenti climatici presso il ministero cinese dell’Ecologia e dell’Ambiente, Lu Xinming, in un’intervista rilasciata a margine della COP25, ha spiegato che uno dei maggiori problemi relativi all’attuazione dell’Accordo di Parigi riguarda gli aiuti finanziari di cui hanno bisogno i Paesi in via di sviluppo per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Di fatto gli aumenti delle emissioni legate all’utilizzo di carbone, petrolio e gas sono trainati dallo stimolo alla spesa da parte del governo cinese e dalla relativa produzione delle industrie ad alta intensità energetica, in primis quella dell’acciaio.
GLI INQUINANTI, SETTORE PER SETTORE – Nel rapporto viene analizzata anche l’incidenza che i diversi settori hanno sull’inquinamento. Circa il 45% delle emissioni di CO2 proveniente da fonti fossili arriva dal settore energetico, il 23% dall’industria, il 19% dai trasporti nazionali, mentre i trasporti internazionali marittimi e aerei sono responsabili del 3,5% delle emissioni. Il restante 10% deriva da edifici, agricoltura, pesca, attività militari e altro ancora. Ma se nei principali settori negli ultimi anni si assiste a un calo o, quantomeno, a una situazione stazionaria nell’utilizzo di carbone, diminuito soprattutto nell’industria, mentre quello del petrolio (stabile o in diminuzione in quasi i tutti settori) continua ad aumentare inesorabilmente in quello dei trasporti, per il gas è tutta un’altra storia. Quasi tutti gli ambiti sono interessati da un aumento delle emissioni dovute all’utilizzo di gas, in particolare il settore energetico. Morale: “Le energie rinnovabili stanno crescendo in modo esponenziale, ma questa crescita è stata finora troppo bassa per compensare la crescita del consumo di energia fossile”.
L’ATTIVITÀ DELL’UOMO – Secondo il rapporto, nel 2019 le emissioni totali di CO2 che derivano da attività dell’uomo dovrebbero aumentare dell’1,3%, superando i 43 miliardi di tonnellate. Non parliamo solo di combustibili fossili, ma anche di deforestazione, incendi e altri cambiamenti nell’utilizzo del suolo, che hanno un peso sulle emissioni. Nel 2019 si prevede, infatti, che questi fenomeni saranno alla base dell’emissione di 6 miliardi di tonnellate di CO2, circa 0,8 miliardi di tonnellate in più rispetto ai livelli del 2018. E se oggi dalle scelte sull’utilizzo del suolo, compresa la deforestazione, deriva il 14% circa delle emissioni totali di gas serra, questa è una di quelle voci che, proprio come il gas, come a ritmi più veloci e da cui si stima deriverà oltre la metà dell’aumento delle emissioni del 2019.