Se oggi Oliviero Toscani dovesse rappresentare nello stile “united colors of Benetton” l’umore della Liguria, dovrebbe comporre in una foto un enorme gruppo di spedizionieri incazzati come cinghiali per le perdite che subiscono ogni giorno dalla riapertura parziale della A26 e dalla A6. Se a Genova minacciano addirittura una class action contro Autostrade per recuperare i danni, a Savona, dopo il crollo della A6, l’umore è dir poco stundaio, termine ligure che significa “scontroso”, “poco socievole”, “cocciuto”.
“Dal porto di Savona-Vado partono mille camion al giorno e con il crollo della A6 son rimasti fermi una settimana, per non parlare di quelli che non sono arrivati o sono arrivati in ritardo – spiega Alessandro Berta direttore generale dell’Unione industriali di Savona. Oggi, piuttosto che usare la litoranea, passano da Bardonecchia e dal Frejus. Il problema della riapertura parziale delle autostrade, ma anche delle provinciali colpite dalle frane, sono i limiti di portata. Dopo i crolli, stanno centellinando i permessi per i carichi eccezionali. Le urgenze che prima richiedevano una settimana di attesa, adesso richiedono un mese. Per fare un esempio, le casse dei locomotori della Bombardier arrivano dalla Polonia e sono un tipico ‘carico eccezionale’. Ora, per evitare l’imbuto delle autostrade, cerchiamo di farle arrivare via mare. Stesso problema per la ditta Fresia di Millesimo. I suoi spazzaneve giganti, costruiti per ripulire interi aeroporti, vengono esportati in 60 paesi, ma sono pesantissimi e, oggi, con la A26 azzoppata, hanno seri problemi”.
Il collasso delle infrastrutture sta investendo anche l’entroterra. Un esempio, fra tanti, è la “Montagna degli Amaretti”, cioè l’altopiano di boschi a 400 metri d’altezza che a Sassello produce ed esporta in tutto il mondo dolciumi leggendari.
“Le frane hanno colpito sia i collegamenti verso il mare che verso il Piemonte – spiega Agata Gualco responsabile marketing de La Sassellese, un’azienda dolciaria con 60 dipendenti che esporta dal Qatar al Giappone – e tutti i camion, sia quelli che ci forniscono le materie prime come farina, zucchero, mandorle o gli imballaggi, sia quelli che devono fare le consegne, viaggiano in ritardo. Su alcune provinciali sono stati imposti dei limiti di carico per cui possono viaggiare solo mezzi che non superano le 7,5 tonnellate. Siamo stati graziati dal prefetto che per quest’area ha concesso una deroga, ma poi bisogna affrontare le due autostrade in crisi, la A6 e la A26”.
Vladimiro Luciano, titolare della Virginia (un marchio che risale al 1860), dice che per alcuni dei suoi dipendenti il rally non è uno sport, ma un’esperienza quotidiana: “Alcuni devono fare gli sterrati e con questo tempo è un’avventura, ma il vero problema sono i camion: materie prime che non arrivano, fermi di produzione, ordini consegnati in ritardo in un periodo, le feste di Natale, in cui tutti i committenti vorrebbero gli amaretti il giorno dopo. Sulle strade SS334 e SP542 esiste un limite di portata di 7,5 tonnellate”.
“La deroga che ci ha concesso il prefetto è 24 ore, ma per noi la vera spada di Damocle è la frana che incombe sulla statale 334 che va da Albisola ad Acqui Terme all’altezza della frazione Maddalena. È lì da 10 anni! Prima, quando era gestita dalla Provincia, hanno avuto la bella idea di consolidarla con dei pali di legno come fanno i contadini. Se viene giù, qui non arriva più nessuno. Noi dovremmo mandare a casa 100, che diventano 300 con i lavoratori delle altre aziende. Il sindaco di Sassello mi dice che i lavori sono stati appaltati, sono finanziati, ma manca un timbro di Roma. Capite? Noi rischiamo di chiudere un intero comparto industriale perché manca un timbro dell’Anas! A chi dobbiamo rivolgerci? Al Gabibbo?”.
Mentre in tv si discute del “tradimento” di Giuseppe Conte, della “malvagità” dell’Europa o di come uscire dall’euro guidati dalla madonna di Medjugorje, sarebbe illuminante rileggere un libro di Piero Ignazi (Vent’anni dopo. La parabola del berlusconismo, Il Mulino 2014). Spiega, senza ostilità preconcette, l’assenza totale di interventi che, durante 17 anni di governo del centrodestra – Lega & Forza Italia – ha portato al collasso idrogeologico del paese, dal disastro del Mose alla paralisi delle infrastrutture. Un bilancio tombale da cui emerge che il “governo del fare” non ha fatto nulla. Però faceva sogni milionari come il Ponte sullo Stretto.