La notizia ha fatto il giro del mondo: la Repubblica Ceca ha riconsegnato la cittadinanza a Milan Kundera dopo 40 anni. Una notizia dal potente valore simbolico, in un momento storico in cui il tema della lotta contro le politiche repressive nei confronti degli intellettuali dissidenti ritorna di inquietante attualità.
Apprezziamo, dunque, il gesto dell’ambasciatore della Repubblica Ceca in Francia, Petr Drulak, che lo scorso 28 novembre ha riconsegnato la cittadinanza allo scrittore, in una cerimonia tenutasi nel suo appartamento a Parigi. Kundera, che quest’anno ha compiuto 90 anni, era emigrato in Francia nel 1975, per insegnare nelle università di Rennes e Parigi.
Dopo aver subito il ritiro della cittadinanza cecoslovacca nel 1979, l’autore aveva ottenuto due anni dopo quella francese, per interesse del presidente François Mitterrand. Una cesura drammatica nel tortuoso rapporto con la propria patria d’origine, in cui le sue opere erano state proibite fin dalla fine della Primavera di Praga.
Per sancire ulteriormente la propria distanza culturale, Kundera ha deciso di scrivere i suoi ultimi romanzi in francese, negando per anni (fino al 2006) la concessione dei diritti di traduzione nella sua lingua materna. La causa di questa quarantennale separazione tra l’allora Cecoslovacchia e il suo autore più famoso risiede nella pubblicazione del Libro del riso e dell’oblìo.
Meno noto de L’insostenibile leggerezza dell’essere, il Libro del riso e dell’oblìo (Adelphi) venne definito dall’autore come un“romanzo in forma di variazioni”; un romanzo avente come tema centrale, non a caso, “la lotta dell’uomo contro il potere”. La straordinaria attualità dell’opera risiede in una considerazione cruciale: “la lotta dell’uomo contro il potere è la lotta della memoria contro l’oblio”. Se consideriamo l’allucinante proliferazione di tesi complottiste e negazioniste nel dibattito politico contemporaneo, comprendiamo l’urgenza delle riflessioni di Kundera.
Il libro è noto anche per la sua particolare struttura: l’opera è divisa in sette parti, ciascuna autosufficiente, ma sottilmente legata alle altre; sette situazioni diverse vissute da personaggi diversi. Particolarmente significativa è la quinta parte, Lítost: l’intraducibilità del titolo è occasione di profonda riflessione filosofica: “La lítost è uno stato tormentoso suscitato dallo spettacolo della nostra miseria improvvisamente scoperta”.
Kundera afferma sostanzialmente di non capire come le persone possano vivere senza questa nozione: in uno splendido passaggio, che mi permetto di riportare: “Lítost è una parola ceca intraducibile in altre lingue. Designa un sentimento infinito come una fisarmonica aperta, un sentimento che è la sintesi di molti altri: tristezza, compassione, rimorso, nostalgia. La prima sillaba di questa parola, che si pronuncia lunga e accentata, suona come il lamento di un cane abbandonato. In certe circostanze, comunque, la parola lítost ha al contrario un significato molto ristretto, particolare, preciso e affilato come una lama di coltello. Pure per questo significato cerco invano un equivalente in altre lingue, sebbene io non riesca a immaginare come si possa comprendere l’anima umana senza di lui”.
Interessante come l’autore la definisca, inoltre, come “uno degli ornamenti della gioventù”, nella convivenza interiore di umiliazione e desiderio di vendetta successivo: una tematica prettamente esistenzialistica, che però trova le sue radici nella grande introspezione psicologica dei maestri dell’Ottocento russo.
Nel suo saggio The Book of Imitation and Desire: Reading Milan Kundera with Rene Girard, Trevor Cribben Merrill riconosce una connessione con i Ricordi dal sottosuolo di Dostoevskij, testo fondamentale per la nascita della letteratura moderna; va ricordato come Kundera avesse dichiarato nell’introduzione alla sua pièce teatrale Jacques e il suo padrone: Omaggio a Denis Diderot in tre atti di non riconoscersi nel “mondo di gesti gonfiati, profondità sporche, sentimenti aggressivi” dell’autore de L’Idiota, destando una piccata e appassionata reazione di Iosif Brodskij.
Pur condividendo il parere del premio Nobel russo sul valore incontestabile di Dostoevskij, vi invito a riscoprire l’originale romanzo di Kundera in cui potrete trovare efficaci antidoti contro l’ipnosi collettiva dominante, come ad esempio la seguente riflessione: “La stupidità deriva dall’avere una risposta per ogni cosa. La saggezza deriva dall’avere, per ogni cosa, una domanda”.
Saremo in grado di capirlo?