La scorsa legislatura è stata quella con più parlamentari di sinistra. Ma ora vincono i moderati della Dc, di fatto il partito più a destra del Paese, che per formare un esecutivo guarderà a la Rete, una sorta di M5s locale. Affluenza al 55%
Nella Repubblica più antica d’Europa, piccola ma autonoma in tutto e per tutto, la Democrazia cristiana (Pdcs) vince le elezioni con il 33.37% (21 seggi su 60) e spazza via la vecchia maggioranza di sinistra. Anche se per governare il partito dei moderati – che di fatto è quello che si colloca più a destra in Parlamento -, avrà probabilmente bisogno di allearsi col secondo classificato, il movimento ‘anti-sistema’ la Rete, una sorta di Movimento 5 Stelle locale che ha corso nella coalizione ‘Domani in movimento’, arrivata al 24.69%. Rispetto al 2016 in cui era arrivata al 18,28% dei voti, ha chiuso questa tornata elettorale col 18,33%. Un risultato, scrive Il Resto del Carlino, al di sotto delle aspettative. Il Parlamento che prende forma dopo queste elezioni segna un cambio sostanziale rispetto alla composizione della scorsa legislatura, che ha avuto nella storia parlamentare della piccola Repubblica il più alto numero di deputati di sinistra.
Oggi invece restano quasi tutti fuori, fatta eccezione per una manciata di ex socialisti e democratici delle liste di Noi per la Repubblica (13,13%) e Libera (16,49%). In mancanza di altre prospettive, però, anche gli ex socialisti di Noi per la Repubblica potrebbero allearsi alla Dc che deve, per vincere davvero, tornare a ridistribuire ricchezza. Alla tornata elettorale che ha rinnovato il Consiglio Grande e generale ha partecipato soltanto il 55% degli aventi diritto, cioè 17mila persone, che hanno deciso di riportare il Paese verso il centro cattolico e tradizionalista. Una 30esima legislatura che si è aperta con la nuova legge elettorale all’insegna del proporzionale – perché il maggioritario nelle ultime elezioni aveva fatto nascere governi che non avevano la maggioranza degli elettori – con un sistema complicatissimo che, nel caso non si riuscisse a formare una maggioranza, prevede il ballottaggio dopo un mese.
San Marino è andata alle elezioni tra feroci polemiche sulla gestione della giustizia, una grande disaffezione verso la politica, un sistema bancario in grandissima difficoltà e l’economia in deficit. E la Dc, nonostante le inchieste che ne hanno incrinato l’immagine, è consapevole di essere stata ri-votata come “bene rifugio“, per rimettere cioè soldi nelle casse dello Stato di un Paese di 38mila persone, dove almeno in 6mila lavorano con la Pubblica amministrazione con stipendi che vanno dai 2.500 a i 5mila euro al mese. In molti, nella Repubblica più antica d’Europa, spiegano che “si stava meglio prima”, dove il prima significa prima della “Tangentopoli del Conto Mazzini” che ha portato in carcere leader democristiani e socialisti. Il governo di Nicola Renzi, il segretario di Stato agli esteri uscente e, di fatto, capo dell’esecutivo, è caduto prima della fine della legislatura, dilaniata da dissidi politici e screzi personali e le elezioni anticipate sono diventate inevitabili. Il partito di Renzi, Repubblica futura, liberale e centrista alleato dal centrosinistra, era nel mirino degli attacchi feroci della minoranza – che includeva la Rete e la vecchia Democrazia cristiana -, che puntava ad andare al governo.