La deputata di Italia Viva Giusy Occhionero non si è presentata in procura davanti ai magistrati che l’avevano convocata per un interrogatorio dopo averla iscritta nel registro degli indagati con l’accusa di falso documentale. Occhionero ha chiesto un rinvio adducendo impegni parlamentari. L’inchiesta coinvolge anche il boss Accursio Dimino e Antonello Nicosia, diventato collaboratore della parlamentare, accusati entrambi di associazione mafiosa. Nicosia risponde anche di concorso in falso con Occhionero. La donna lo fece entrare per quattro volte nelle carceri siciliane spacciandolo per suo collaboratore nonostante solo settimane dopo il rapporto professionale tra i due fu formalizzato.

La deputata era stata interrogata e aveva spiegato di aver conosciuto Nicosia – fermato con l’accusa di fare da tramite tra i boss e le cosche accedendo in diverse carceri – tramite i Radicali Italiani che, non avendo un proprio un deputato alla Camera, le avevano suggerito di assumerlo per avere la possibilità di fare ispezioni nelle carceri. Una prerogativa legittima che, però, il collaboratore aveva usato per i suoi scopi: avere contatti, secondo l’ipotesi della Dda, coi capimafia e portare all’esterno informazioni.

La parlamentare e Nicosia si erano incontrati a Palermo e hanno avviato una collaborazione e un rapporto personale. L’uomo veniva retribuito con 50 euro al mese. Una cifra simbolica perché, come era emerso dalle intercettazioni, lo scopo della collaborazione, per Nicosia, che definiva il boss Matteo Messina Denaro “il nostro primo ministro“, per entrare in contatto con i mafiosi. Ai pm che ieri le chiedevano come mai avesse assunto l’indagato, nonostante i suoi precedenti penali – una condanna per traffico di droga, tre per ricettazione e una per appropriazione indebita – Occhionero aveva risposto sostenendo che alla Camera nessuno fa controlli sui collaboratori. Nonostante il contratto fosse scaduto a maggio perché la deputata, insospettita dal singolare curriculum del collaboratore ne aveva accertato la falsità, il tesserino era rimasto nella disponibilità di Nicosia. Il gip di Sciacca, che aveva convalidato il fermo per Nicosia e per il boss Accursio Dimino, aveva espresso valutazioni molto severe nei confronti della deputata parlando di “un grave difetto di consapevolezza” oppure “una connivenza”.

Nell’ordinanza c’erano alcune conversazioni ambigue. Come quando, il 14 febbraio scorso, Nicosia le propone una truffa in piena regola: farsi pagare dai titolari di una cooperativa che, nel carcere della Giudecca a Venezia, gestiva la sezione con le detenute madri. La proposta è quella modificare il contenuto della relazione che la deputata avrebbe dovuto redigere – in cui si denunciavano irregolarità – in cambio di soldi. “Ma se lei compra 5 Louis Vuitton all’anno io e te ne dobbiamo comprare almeno una, capito? Dai l’Iban quando chiamano dici: senta io non ho tempo, le sto dando Iban, in base a quello che mandano eventualmente modifichiamo le dichiarazioni; ma capisci che non si può fare gratis questa cosa”, diceva Nicosia a Occhionero. Una proposta rifiutata dalla deputata che il 7 marzo presenta un’interrogazione sulle irregolarità riscontrate nell’istituto veneziano. Quattro giorni dopo, però, viene revocato il decreto che autorizzava le intercettazioni ambientali: i rapporti tra i due si erano intensificati e la Occhionero, in quanto parlamentare, non si può intercettare deliberatamente. Poi a un certo punto, i pm annotano che il legame tra i due si è interrotto nel maggio 2019 e “non per volontà dell’indagato”.

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