Capitale verde europea” nel 2014, “migliore città al mondo per i ciclisti” nel 2015, “migliore città al mondo in cui vivere” nel 2016. Questi i riconoscimenti a Copenaghen che si è posta l’obiettivo di diventare la prima città al mondo carbon neutral entro il 2025. Il suo Piano Clima va infatti ben oltre gli obiettivi del Patto dei sindaci.

Dal 2005 al 2014 le emissioni climalteranti si sono ridotte del 31%, dimostrando che il disaccoppiamento tra la crescita della città e le emissioni è possibile, visto che nello stesso periodo la popolazione della città è cresciuta del 15% e la sua economia del 18%. E la città continuerà a crescere: circa 100mila unità (+20%) entro il 2025 con la creazione di oltre 20mila nuovi posti di lavoro. Copenaghen vuole essere un esempio per tutto il paese, conscia del fatto che essere la capitale la investe di maggiori responsabilità.

A titolo di esempio, vediamo cosa sta avvenendo in uno dei principali settori responsabili delle emissioni climalteranti: il residenziale. Per migliorare l’efficienza energetica negli edifici esistenti è stato stipulato un accordo con i proprietari, le cooperative immobiliari e i grandi manager immobiliari (in totale più di 40mila appartamenti) al fine di ottimizzare e, quindi, ridurre il consumo energetico nei rispettivi immobili.

È emblematico che sia il mercato, quindi il settore privato, a dare un valore agli immobili più efficienti dal punto di vista energetico. Il risparmio energetico negli edifici premierà quindi sia i proprietari, per l’accresciuto valore dell’immobile, che i gestori, per i più bassi livelli delle bollette energetiche.

Gli impatti previsti dei cambiamenti climatici al 2100 stimano nella città un aumento delle precipitazioni del 30-40% mentre il livello del mare si alzerà tra 33 e 61 centimetri. I cambiamenti avverranno lentamente, ma inesorabilmente. Sono oltre 300 i progetti identificati, di cui alcuni già partiti, al fine di proteggere la città principalmente da nubifragi e inondazioni.

I bei propositi rischiano però di essere messi in ombra dall’approccio seguito per la gestione dei rifiuti. Amager Bakke o Copenhill, denominato poi ufficialmente Amager resource center (Arc), il nuovo impianto di incenerimento dei rifiuti che ha destato l’attenzione anche di parlamentari giunti dall’Italia, rappresenta un esempio negativo per i processi decisionali e la scarsa pianificazione adottati, nonché per gli impatti ambientali e il non rispetto dei parametri economici preventivati all’inizio.

Ma più che parlare di questo, a oggi si decanta la pista da sci, con la superficie in plastica al posto della neve, posta sul tetto. Alto 85 metri, il sesto edificio più alto della Danimarca, è di proprietà delle municipalità di Dragør, Frederiksberg, Hvidovre, Copenhagen e Taarnby con una capacità di 560mila tonnellate all’anno e un costo di oltre 500 milioni di euro.

Entrato in esercizio nel 2017, rispetto al vecchio inceneritore che ha sostituito, era previsto un 20% in più di calore ed elettricità per tonnellata di rifiuti inceneriti, con meno emissioni climalteranti e inquinanti di oltre il 50% per tonnellata di rifiuti trattati: risultati questi ancora tutti da verificare. Con questa scelta, le municipalità coinvolte si sono legate all’incenerimento dei rifiuti per i prossimi 30-40 anni.

Il problema della capacità dell’impianto è esplosa nel 2016 quando si è dovuto modificare l’accordo originale e consentire l’importazione dei rifiuti nel tentativo di rendere il progetto economicamente sostenibile. In aggiunta, errori tecnici nelle camere di combustione e nel compensatore (dispositivo che gestisce le variazioni di temperatura) hanno comportato ritardi e perdita di svariati milioni di euro.

Per non parlare del fatto che l’impianto non può funzionare a pieno regime nella stagione estiva, poiché la conseguente sovrapproduzione impedirebbe agli altri impianti di distribuire il loro calore ed elettricità. Nel 2018 ha bruciato circa 30mila tonnellate di rifiuti, per lo più carta, plastica e cartone, tutti materiali riciclabili. Le ricerche condotte da Energy Analysis indicano chiaramente che l’impronta di carbonio aumenta sensibilmente quando non si riduce la presenza della plastica (prodotta con il petrolio) nei rifiuti che si inceneriscono.

Per cercare di compensare un po’ le perdite già accumulate, Arc ha pensato bene di proporsi per gestire direttamente anche il servizio di raccolta dei rifiuti, al posto delle quattro società private che attualmente svolgono il servizio. Prospettive? Un costo maggiorato di 13 milioni di euro.

In attesa di conoscere anche i dati reali sulle emissioni dell’impianto, al di là di quello che dichiara il costruttore, l’inceneritore di Copenaghen è un fallimento totale la cui gestione contraddice i Piani climatici dei Comuni coinvolti, nonché le indicazioni provenienti dal Pacchetto europeo sull’economia circolare, che prevede un obiettivo al 2035 del 65% di riciclo dei rifiuti urbani (70% entro il 2030 per il packaging), non compatibile con l’attuale 52% di rifiuti inceneriti in Danimarca.

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