di Germano Fiore
Da poco passato il 25 novembre, giornata mondiale contro la violenza sulle donne, mi sono ritrovato a Napoli a presentare un nuovo saggio sull’argomento, “Solo perché donna. Dal delitto d’onore al femminicidio” di Melita Cavallo, già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Roma nonché volto noto televisivo. Le considerazioni che seguono sono figlie di questa occasione che ho utilizzato per riflettere sull’argomento.
La prima domanda che mi sono posto è: il femminicidio è un fenomeno che può essere indagato con gli strumenti della psicoanalisi? Per rispondere a questa domanda è necessario definire l’oggetto: cosa è il femminicidio o cosa si intende comunemente per femminicidio? La storia comincia nel 1992: Diana H. Russell, criminologa, inventa la parola Femmicidio (senza “ni”). Il Femmicidio per Russell indica l’uccisione delle donne da parte di uomini “per il fatto di essere donne” e rappresenta l’ultimo e più grave esito di condotte misogine presenti nella società.
Nel 2004 Marcela Lagarde, antropologa messicana, inserisce la “ni” e il femmicidio diviene femminicidio. Lagarde qualifica il femminicidio come la forma estrema di violenza contro le donne e pone l’accento sulla responsabilità dello Stato che, implicitamente adottando la misoginia, sancisce l’impunità parziale o totale di queste condotte.
Mettendo insieme i due termini, di derivazione criminologica e antropologica, emerge che trattasi dell’omicidio di una donna in quanto donna (misoginia implicita della società) con una assenza della funzione normativa dello Stato. Questa definizione, piuttosto vaga, rischia da un verso di includere troppi reati e dall’altro di escluderne tanti altri (in presenza di una legislazione ad hoc, come in Italia).
Orbene, le parole, per chi fa il mio mestiere, sono importanti e mi sembra indispensabile ragionare sul senso delle parole Femmina e Donna. Femmina deriva dal latino femina e condivide la radice di fecundus (fecondo, fertile): è, pertanto, un termine che connota la Femmina per la sua capacità di generare, di essere fruttifera. Donna, invece, proviene da domina (signora, padrona): e cosa sia una donna è argomento spinoso.
Che dice della donna, domina-signora-padrona, la psicoanalisi? Sigmund Freud, inviso al movimento femminista, individuò un primato fallico su cui si basa la civiltà come modalità di espressione non solo del valore, ma anche degli elementi necessari per definirsi e darsi una identità. In termini di funzione, il fallo accomuna sia il maschile che il femminile. Jacques Lacan ha, successivamente, rapidamente chiuso la faccenda con la famosa asserzione “la donna non esiste”.
Esistono le donne, diverse l’una dall’altra. La mancanza costitutiva dell’ingombro fallico, infatti, darebbe alla donna la possibilità di accedere a soddisfazioni diverse rispetto all’uomo e diverse da donna a donna. La donna scrive Stefano Bolognini, past-president della Società Psicoanalitica Italiana e della International Psychoanalytical Association, è oggetto di violenza quando compagna di un uomo, secondo la tipologia del “delitto edipico”.
L’origine della violenza sarebbe la vendetta per la dipendenza infantile dalla madre, una regressione, al momento dell’atto, per cui “il soggetto vive ancora in una dimensione fortemente diadica di cui non può tollerare la smentita o l’interruzione”, e l’espressione della violenza fisica servirebbe a rassicurare l’uomo circa la propria superiorità rispetto all’oggetto (compagna=madre) dal quale è estremamente dipendente e che si allontana.
Forse la nebbia semantica inizia a dipanarsi: perché l’uccisione di una femmina sia di interesse psicoanalitico è necessario che tra il maschio criminale e la femmina vittima vi sia una relazione d’amore. L’Orestea di Eschilo ci viene in aiuto. Clitennestra diviene amante di Egisto, approfittando della partenza del marito Agamennone. Al suo ritorno, lo uccide, in quanto adultero con Cassandra, nonché parricida, avendo sacrificato la figlia Ifigenia agli Dei. Oreste vendica il padre Agamennone e uccide Clitennestra. Il tribunale di cittadini, presieduto da Atena, assolve Oreste perché: “non è la madre generatrice di quello che è chiamato suo figlio: ella è la nutrice del germe in lei seminato. Il genitore è colui che la feconda”.
Clitennestra non viene uccisa in quanto madre, ma in quanto domina-donna-signora-padrona. Oreste, che ha un legame affettivo con Clitennestra, viene assolto. E la nebbia si dipana ancora di più: perché l’uccisione di una femmina sia di interesse psicoanalitico è necessario che la Femmina sia una Donna, una signora-padrona, che abbia la libertà di agire in quanto tale e che in ragione di questa libertà venga uccisa. Ed è necessario che tra l’assassino e la vittima vi sia una relazione affettiva, non necessariamente d’amore.
Ed ecco, quindi, il “mio” Donnicidio: l’omicidio di una femmina esercitante il ruolo di donna, cioè di signora e padrona del proprio destino, e per questo uccisa all’interno di una relazione affettiva, reale o immaginaria. Di questo, delle relazioni, può dire la psicoanalisi. E di questo continueremo a scrivere.
Ps. Ho deliberatamente non trattato le uccisioni commesse come sintomi di patologie psichiatriche preesistenti – quelle poche commesse dai cosiddetti “rei folli” – che nulla hanno a che vedere con il femminicidio o con il donnicidio e che sistematicamente vengono incluse nella categoria dei femminicidi.